La rabbia e però anche l’orgoglio: l’ira, che stavolta non è un vizio, ma la ribellione al destino, a se stesso, ad una ingiustizia o anche alla giustizia che ricorda al Napoli cosa non vada fatto per rovinarsi il fegato suo e quello di Higuain. Perdere in quel modo, ad esempio: 1-0 per l’Udinese, senza graffiare, senza mostrarsi, senza scacciare via il fantasma ch’è raccolto in quella rivoluzione enorme, esagerata. «No, no, no». Eh sì, no, no, no, tre volte no, come le sconfitte, come le imprecazioni che Higuain lancia al nulla al minuto novantaquattro, quando Tagliavento toglie l’ultima illusione e certifica l’apertura della crisi: perché a quel punto, il triplice fischio mette il sigillo su questa dolorosa fase iniziale della stagione, quella che Higuan voleva per «vendicare» la sconfitta nella finale del Mondiale e che invece gli riserva ancora fiele in quantità industriale.
TASSO ZERO. E poi ad un centravanti togliete anche il gol: a bocca asciutta contro il Chievo (e con l’aggravante di aver sbagliato un rigore che avrebbe potuto cambiare la partita), in bianco pure ieri, al «Friuli», con una sola palla degna di essere definita occasione, ma costruita da solo, essendo il Napoli scomparso. E poi, quando l’arbitro fischia, rimane soltanto la voglia di afferrare la sorte e prenderla a sberle: «Ce l’aveva per una decisione arbitrale». Ed era l’amarezza per la sconfitta, che ha spinto Higuain a diventare nero in volto, a sibillare quel «no, no, no».
ASTINENZA. Due partite senza segnare: per un bomber, uno che viaggia con la media di un gol ogni centottanta minuti, sa di maledizione o anche di sortilegio o di chissà quale diavoleria. Sa comunque di momentaccio che Higuain vorrebbe spazzare a pedate, come ha fatto giovedì sera contro lo Sparta Praga, quando è andato sul dischetto ed ha calciato a modo suo; quando ha preso il pallone e ha detto a Mertens: «Fa tu». Si sarebbe ripetuto pure contro l’Udinese, se non ci fosse stato il miracolo di Karnezis proprio poco prima che Danilo lo lasciasse piombare nella disperazione, perché lui aveva disegnato un’annata diversa da quella attuale: voleva la Champions e per prendersela si è buttato in campo dopo neanche due settimane di allenamento; e poi magari avrebbe voluto lo scudetto: ma dopo appena tre partite, siamo quasi all’utopia o a qualcosa che gli somigli. E allora bisogna riprendere il controllo della situazione, viaggiare come sa fare quel pipita da quaranta milioni: un affare che è anche di cuore e che non può fermarsi alla coppa Italia o alla supercoppa, che certo prevede la Europa League ma anche una presenza più viva, palpabile, in questo campionato che mica può finire così presto. «No, no, no….».
Fonte: Corriere dello Sport
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