Ma no: è un fremito che corre lungo la schiena e s’ode l’«ohhhhh» ch’è paura allo stato puro. Quattro minuti e sarebbe finita, un balzello e via verso Roma: poi quella palla invitante, la scarica d’adrenalina che s’impossessa d’un uomo nato per segnare, la finta, il dribbling, la traiettoria che costringe ad allungarsi, l’impatto con Andreolli. Eh no, così non si fa: perché il destino sa essere carogna, s’accanisce e dispensa il terrore nella San Siro tinteggiata d’un azzurro tenebra. «Forte trauma contusivo alla caviglia destra, che andrà valutata nei prossimi giorni» . E passeranno, trattenendo il fiato, lanciandosi con gli occhi e con le orecchie su Castelvolturno, lasciando avvertire a Higuain quel carico d’affetto che s’è colto nella Milano da bere tutta d’un fiato, stavolta, per dimenticare.
I «prossimi» giorni: ne mancano ormai già sei al fischio d’inizio d’una Fiorentina-Napoli che vale una stagione, che consegna un trofeo, che dispensa gloria mica effimera: e quelle riflessioni strapperanno il respiro, perché un Pipita è oro che cola, è l’irrinunciabile uomo in più sul quale potersi poggiare in qualsiasi istante di quell’ora e mezza ch’è una favola da vivere tutta, ch’è per ora è diventato tormento. E allora, è un passaparola, con i tifosi che restano fuori al «Meazza» e là restano, perché basta un sorriso o anche un segnale o una piccola luce per scacciar via quel buio che si è impossessato di loro.
SPERANZA – Le voci di dentro, servono: per raccontare le sensazioni, per cogliere gli umori autentici, per intrufolarsi non certo nella psicologia ma in quella coscienza presa a sportellare sulla barella, mentre faceva un male inenarrabile e le mani nei capelli raccontavano d’un Higuain imprigionato dal dolore mentre percorreva il perimetro del campo di Milano disteso. «Ma ora sta meglio, sembrava sorridente» . Fiorentina-Napoli è un punticino che s’avvicina e dunque s’ingrossa, è l’appuntamento irrinunciabile a cui apporre il timbro d’una carriera maestosa e però da arricchire ancora, sistemando dell’altro in quella bacheca affollata: è domenica, ormai, e se n’è andata una notte, si può cominciare a capire la reazione della caviglia destra; poi sarà lunedì e si procederà ancora con le terapie, senza caricare (ovviamente), limitandosi a domare quella randellata e si intuirà e si potrà stilare un nuovo bollettino medico. Con Napoli appesa alla speranza.
OTTIMISMO? – I centoquaranta caratteri che dispensano la realtà aiutano (il) Napoli a starsene imbronciato, ad invocare i santi protettori, a dominare quella tensione che nasce al minuto quarantuno della ripresa d’un a partita che sta per finire e che neanche Higuain vorrebbe archiviare melanconicamente: perché è uno 0-0 che va stretto, perché c’è un palo di Inler di cui s’ode ancora l’eco, perché c’è stato possesso palla, c’è sta pressione e anche sfortuna, perché a el Pipita la fame del gol non passa mai e quella è una soluzione invitante, creata da solo, nello stretto, danzando sul pallone, portandolo lontano da Ranocchia e che però va all’impatto con Andreolli, che alla fine va nello spogliatoio del Napoli per capire e per accorgersi che sì, poteva andare peggio, però si può fare, l’Olimpico non è poi depennato, non ora, non subito, forse per niente, perché quel «vediamo» del medico sociale è assai più di una speranza.
A CASA – Gli indizi che possono aiutare a costruire la prova d’una felicità da riacquisire rapidamente, ancor prima di imbarcarsi sul charter che riconduce a Napoli, è nella scelta di rinunciare a visite immediate e specialistiche in ospedale: non c’è necessità, non c’è l’urgenza, non c’è bisogno di dover rimanere a Milano: Higuain parte, decolla, lascia spargere quel pizzico di fiducia che diviene il collante tra San Siro e l’Olimpico, i teatri a cui un pipita non intende rinunciare. Non l’ha fatto al minuto 41 d’una gara (teoricamente) inutile, pensate mai voi che possa farlo per la finale di coppa Italia, la Partita?
Fonte: Corriere dello Sport
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