E quando l’hombre s’è allungato (seriamente) sul campionato, è cominciata un’altra vita: esperienza sensoriale, si dice così, se n’erano perse le tracce, s’avvertiva (stranamente) il nulla intorno, si coglieva il disagio d’una esistenza stravagante, mica la sua.
Poi, a un certo punto, nelle nebbia d’una «crisetta d’identità», senza neanche doversi accomodare sul lettino di Freud, il giovanotto ha ritrovato se stesso e con la manita, quella del cuore, s’è ripresentato a modo suo. Firmato: Gonzalo Higuain. Tre gol al Verona, perché è così che si rompe il guscio e si cancella l’astinenza di otto domeniche infernali, regalandosi una grande abbuffata, pigliando il pallone e portandoselo a casa, con l’autografo dei compagni e la soddisfazione propria e del San Paolo, che ha (ri)cominciato ad invocarlo, quasi carezzandolo con quei cori che – nel fragore del silenzio stampa – gli hanno lasciato sussurrare «sono felice».
In realtà, è tornato semplicemente ad essere «el Pipita», il centravanti un po’ antico e un po’ moderno che sa coniugare il calcio con modi e tempi perfetti: perché quando Higuain s’è rimesso a segnare, l’ha fatto di giustezza, di prepotenza, col il fiuto d’un cinico bomber con l’abilità d’un prestigiatore.
E CINQUE. Succede contro il Verona, dunque. E la storia della stagione può essere riscritta, cancellando gli scarabocchi del primo trimeste, rimuovendo dalla memoria il rigore sbagliato con il Chievo e quello «sanguinoso» lasciato parare a Sportiello a Bergamo; azzerando ciò ch’è stato al San Mamés, la ferita che forse è stata definitivamente cicatrizzata, rimettendosi in testa il proprio vocabolario e sfornandolo ad uso e consumo del Napoli. Perché «el Pipita», vale la pena ricordarlo, non è soltanto gol ma è anche assist – di fattura – che servono a Callejon per scalare la classifica dei cannonieri, finora sono tre e sono stati gioiellini da ammirare.
LA NOTTE. Di Bergamo, no, quella quasi passa come insalutata ospite d’una carriera folgorante, consumata tra il Real Madrid e la Nazionale argentina, arricchita da trionfi e pure da quella finale del Mondiale in Brasile che certo fa male ma che rimane nella propria bacheca: il «Brumana» è invece una fitta, perché lui sul dischetto ci va con la sicurezza di chi sa dove piazzarla, dopo aver ripreso confidenza con i rigori, e si ritrova catapultato nella disperazione per aver lanciato dalla finestra due punti d’oro. Ma succede: intanto, aveva risegnato; e poi, c’è la possibilità di trasformare la rabbia in gioia.
ROVESCIATA. Come usavano i centravanti del secolo scorso, il tuffo carpiato in area che spacca subito la partita con la Roma è da applausi, un pezzo pregiato della premiata dita Gonzalo Higuain che va a volteggiare in aria e nell’aria su un pallone sporco, deviato e dunque reso ingovernabile dalla traiettoria perfida.
Lui s’avvita, lo trova in cielo, lo gira in porta ed è a quota cinque in campionato, mentre altri ne ha fatti in giro per il Vecchio Continente (uno all’Athletic Bilbao e per lui non conta, due in Europa League).
Rifatti i conti, è arrivato a quota otto e la stagione è appena cominciata: segna da tre gare di campionato e alla Fiorentina non l’ha mai fatto. Solo assist, contro la «viola». Hombre …
Fonte: Corriere dello Sport
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