La pipita d’oro è in un volteggio elementare: stop, toccata e fuga (a braccia aperte), per farsi accarezzare dal vento e ritrovarsi immerso in quel boato disumano creato dall’attesa. Higuain e il resto è nulla: è un volo pindarico con la fantasia o la ricerca d’un messaggio subliminale da cogliere in quella notte, come un testimone che galleggia tra la folla, un passaggio di consegne da cogliere nell’enormità d’un pallone. «Sentire il San Paolo acclamarmi è stata un’emozione fortissima, una sensazione stupenda». È andata e ora che la prima a Fuorigrotta può essere (stata) considerata buona e forse persino ottima, ciò che resta all’orizzonte è il desiderio folle di lasciarsi andare, la tentazione di guardare oltre, la speranza che l’era-Higuain abbia i connotati della “belle epoque” d’un matador ciclopico, centoquattro reti e la conquista dell’Olimpo, della Coppa Italia, d’un posto in quel tavolo delle grandi di Champions.
ECCOLO – Le ombre che s’allungano (e ancora lo faranno) inducono ai paragoni ma il passato è finito nell’archivio e domani saranno altri giorni per Higuain, per la sua ferocia nei sedici metri, per quella capacità di rendere semplici le cose complesse con un tap in e via, alla ricerca della felicità appena lasciata a Madrid e però già scoperta in una città eternamente immersa con la testa in quel pallone. «Posso soltanto ringraziare la gente per l’accoglienza, per il calore che mi è stato riservato, per la splendida partecipazione» . Un tempo con l’Arsenal, un altro con il Porto e la zampata che dà un senso alle speranze popolari con il Benfica: bienvenido, pipita, e per urlarglielo in faccia, affinché non dimenticasse, il San Paolo ha vibrato, ha smesso d’interrogarsi su qualche (umanissima) rotondità di troppo e s’è liberato in quell’entusiasmo trascinante ch’è servito alla folla per dimostrargli – amichevolmente – ciò che già avvertono per lui. «Sono contentissimo per questa prima rete dinnanzi al nostro pubblico. Speravo tanto di riuscire a segnare per omaggiare i nostri tifosi».
THE CHAMPION – E poi verranno gli appuntamenti autentici, la tensione che stritola, il pathos da tre punti, la corsa per lo scudetto e le notti della Champions; e poi ci saranno momenti da ritagliarsi ufficialmente, per ricominciare a scrivere la Storia, per ricostruire quei cuori infranti, per sovrapporre la propria immagine alle prodezze di Cavani; e poi si cercherà el Pipita nelle sue movenze, in quei tre passetti per entrare nel san Paolo, rito d’una scaramanzia tipicamente napoletana o anche argentina, perché tant’è lo stesso. «Sono contento, lo posso dire per davvero» . La felicità è un flash, una palla sporca di Armero che viaggia tra venti sagome e una serie di gambe, una traiettoria perfida ammorbidita standosene un al di là dei difensori, al di qua del fuorigioco e al di là di qualsiasi divagazione sulla condizione, sullo stato di forma, sui carichi di lavoro e persino su Cavani intanto in campo con il Psg. «Era quello che volevo: riuscire a segnare» .
VERSO ROMA – Il battesimo di fuoco è riassunto in poche, poche lettere, appena tre, scritte d’istinto, il marchio di fabbrica d’un attaccante moderno (e però anche istintivamente antico) che sa dialogare soprattutto con il gol: e in quel San Paolo, l’eterno tempio di Diego, altro non aveva da dire, per una serata normalmente speciale, a quei quarantamila già in cerca di un nuovo eroe, d’un uomo per sogni irrinunciabili, così uguale e però anche così terribilmente diverso dal proprio predecessore. «E’ stato tutto emozionante, è stato stupendo».
Fonte: Il Corriere dello Sport
La Redazione
M.V.
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