Chissà se ritrovandosi davanti il suo primo allenatore al Napoli riuscirà a sbloccarsi e a ritrovare il sorriso. Perché Marekiaro non sa più segnare. Neanche per sbaglio. Ha una media realizzativa da centrocampista difensivo, col piccolo particolare che stiamo parlando di Marek Hamsik, mica di uno qualsiasi. Ma la palla, quando la tocca lui, non entra più in porta. Il digiuno dello slovacco va avanti dal 2 novembre del 2013: complessivamente 25 presenze (tra campionato, Champions ed Europa League) e zero gol segnati. Hamsik non va in rete da 5 mesi: una gol al Catania, poi più nulla. Il suo bottino resta fermo a 6 reti: cifra ridicola, dato che si parla di uno dei centrocampisti più prolifici della serie A (234 presenze e 67 gol realizzati nelle ultime sei stagioni). D’altronde Hamsik è nato per stupire. È il suo destino. Fin dal primo giorno in cui ha messo piede a Napoli. E quel giorno ad accoglierlo c’era Edy Reja, il tecnico della Lazio che domenica incrocia il Napoli al San Paolo per la seconda volta nella stagione, dopo la sfida nei quarti di finale di Coppa Italia. E c’era l’allenatore goriziano ben piantato sulla panchina azzurra quando il ragazzo stregò per la prima volta il pubblico napoletano con un gol straordinario alla Sampdoria. Aveva appena compiuto vent’anni e lo slovacco di Banska Bystrica, 183 centimetri di altezza, 73 chili di peso, mostrò subito di essere un predestinato. Reja ne rimase folgorato: nella prima stagione partenopea, giocò ben 34 partite da titolare. Reja disse: «Solo un matto non lo farebbe giocare». E lui ricambiò il favore: nell’anno e mezzo con cui ha avuto Reja come allenatore, ha segnato 18 gol in serie A. «Deve avere la porta dinanzi a sé e giostrare tra centrocampo e attacco. Perché a lui non piace essere ingabbiato», spiegò il 62enne friulano.
Hamsik è stato svezzato da Reja che ha tirato fuori il suo talento e ha gestito nel modo migliore i lati meno positivi del suo carattere. «Ma è nato con il pallone», disse di lui dandone una definizione semplice ma efficace come poche. «Lo osservavo tutti i giorni in allenamento, serio, scrupoloso e dicevo a me stesso: questo prima o poi esploderà, diventerà il più forte del mondo».
Era arrivato in Italia nell’agosto 2004: il padre Richard è stato un discreto calciatore (seconda divisione slovacca), a calcio giocava anche il fratello; la madre, Renata, ha giocato a pallamano, lo stesso sport della sorella Michaela che poi ha sposato Gargano. Il passaggio al Napoli nell’estate 2007, fortissimamente voluto dal dg Pierpaolo Marino. Un giocatore che, non è un mistero, piaceva da morire anche a Mourinho. Sbarcato da poco ad Appiano Gentile il tecnico portoghese disse che in Italia c’era un giovane centrocampista che gli sarebbe piaciuto avere nella sua rosa. Non fece nomi. Ma tutti gli indizi portavano allo slovacco che il Napoli aveva comprato, dal Brescia, per 5,5 milioni. Anche Mancini ne era rimasto incantato. «Lo volevo eccome nella mia Inter, qualcun altro non l’ha voluto…», ha spesso ripetuto con un briciolo di rimpianto. Marino, rimase folgorato vedendolo («Non sapevo chi fosse, ma me ne innamorai») in una partita con l’AlbinoLeffe. Ha staccato nella classifica dei bomber campioni come Vinicio e Canè. Ora deve riprendersi il Napoli. Il Napoli di Benitez.
Fonte: Il Mattino.
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