IL PRESENTE. Poi bisognerà giocarla, e certo, lasciandosi scivolare di dosso quel pathos inevitabile di chi sa che in quel momento sta analizzando la sua trasformazione, dal bambino che era all’uomo (ma anche al capitano del Napoli) che è diventato. Torna in quei giardini, con la testa piena di fotogrammi, rivivendo gli istanti che parevano smarriti, pensando ai viaggi affrontati con i genitori, al primo distacco – ch’è un trauma – e però anche a quella gioia che lo scaldava, perché stava semplicemente facendo quello che voleva fare.
OH CAPITANO. La fascia al braccio gli dà un tono, poi proprio lì, a Bratislava, dove l’hanno visto crescere fino ad un certo punto, fino a quando cioè non dovette emigrare – e stavolta sul serio – andando a Brescia, per cominciare a scoprire l’Italia. Napoli era, all’epoca, un puntino lontano e sconosciuto e invece ora è nella hall of fame d’una squadra alla quale s’è incollato: il quinto per numero di presenze, dopo Bruscolotti, Juliano, Ferrario e Ferrara; è il settimo goleador di tutti i tempi di questa squadra dalla quale s’è momentaneamente ritrovato (tecnicamente) ai margini ma del quale resta centrale. C’è Slovan Bratislava-Napoli ma non dite ad Hamsik che è una partita di calcio: perché in quest’ora e mezza c’è tutto lui, soprattutto lui, soltanto lui.
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