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Hamsik, signore degli assist e dei gol: i sigilli del vero fuoriclasse azzurro

Quelli con il cuore che pulsa emozioni sono migliori di quelli con le scarpette color arancio e con il cuore di pietra, e ci sarà un perché. Perché Hamsik che sembra vivere in un cono d’ombra ma così non è, che ha un po’ di acne e porta gli occhiali da miope è meglio dei sudamericani riveriti e celebrati che segnano tanti gol. Perché Marek è la dimostrazione di come si possa essere moderni professionisti dello show biz calcistico, rimanendo se stessi, professando la fidelizzazione al proprio club e portando avanti in silenzio, e con trasparenza, anche i contenziosi economici. Nemmeno gli eccessi di qualche anno fa, quando il Milan tentò Marek, hanno turbato il nostro Hamsik che quando va in campo attacca, che sembra una scena di battaglia del «Signore degli anelli», o una roba tipo «Il gladiatore». E si sente il clangore del metallo che si schianta e scintilla. Certo, il bello del Napoli è anche nella sua tela grezza, quando Maggio crossa preciso per Marek e lui scivolando con la palla fa gol, o quando salta con quel capoccione allungato dalla cresta e colpisce con la fronte che pare fatta di ghisa. Hamsik, però, sa mostrare l’altra varia luminosità, regalando assist per tutti i suoi ed è luce di stella cometa, con gli avversari che diventano ghirigori, e i nostri che si abbracciano. Così si spiegano molti risultati dell’esercito azzurro. Marek è un tantino più su degli altri compagni di squadra. Tuttavia l’impasto azzurro usa, per le sue costruzioni, materiali scavati in miniera e non si tratta quasi mai dell’oro. Meglio il ferro, più consono. La potenza, di carattere e di muscolo, è la prima caratteristica di una squadra che dopo ogni avversità si è sempre magicamente rifatta. Ed è in questa crescita di risultati e onori, che oltre alla sostanza c’è bisogno dei bagliori di un asso. Ecco che Marek sembra un bambino, sprizza gioia di giocare e freschezza. E cosa sia veramente il Napoli per lui si comprende quando silenzioso e geniale indirizza le partite e i risultati. È come se il nostro abitasse ogni zolla del campo, ogni pensiero tattico della squadra e con le sue progressioni e i suoi inserimenti volesse svegliare non solo il Napoli ma l’intero calcio. Per avere ragione di tanto, gli azzurri spiegano che nello sport non basta il bacio degli dei, prima serve credere in un progetto, poi il furore misto alla serenità d’animo. E anche l’umiltà nel rispetto delle consegne, e qui Benitez può diventare un esattissimo disegnatore, un architetto che sa dove mettere calce, mattoni e ornamenti. Non sarà mai Michelangelo, però la sua Sistina la sta tirando su a colpi di cazzuola, e le maestranze napoletane sembrano tutte con lui. Nel Napoli si continuerà a parlare una lingua sola, che però è una miracolosa fusione di parole singole, mica tutte in italiano. Per esempio De Sanctis è inglese dentro. Maggio e Zuniga devono avere sognato di essere olandesi, e ogni tanto lo diventano. Hamsik com’è noto, è, invece, un cittadino della Slovacchia ma per sbaglio: nel suo modo di giocare c’è invece il meglio di Brasile, Italia, Germania e Spagna, la tecnica e la scaltrezza insieme. A volte pare un maratoneta degli altipiani, uno di quelli che corre senza scarpe per inseguire un sogno, sbilenco e veloce, esagerato e prezioso. Esiste una specie di aritmetica del gol, appena un po’ mimetizzata tra gli altri numeri di Hamsik, che illustra quasi ogni sua prodezza: score scintillanti, inversioni di tendenza in area, inserimenti e percussioni fotocopiate, epiloghi pressoché scontati. Quest’aritmetica dice che Marek ha segnato 13 gol in 58 partite con una media di una rete ogni quattro match, il Napoli è diventato quello che non era mai riuscito a essere negli ultimi vent’anni. Il limite è scomparso grazie ai primi gol di Hamsik (ricordate quando nell’anno del battesimo in A stese il Milan?) e alla sua intelligenza tattica. Il percorso quest’anno è sembrato un pallottoliere: reti al Palermo, alla Fiorentina, all’Udinese, al Chievo e via contando biglia dopo biglia. Ma non è la scansione dei gol, è l’identità dell’autore a raccontare perché il Napoli è una squadra non solo forte, ma s’avvia, con i necessari innesti, a diventare la più completa del campionato e la più varia nelle soluzioni offensive ancorché la più bisognosa, perché no?, della continuità di un bomber, sia Cavani o un altro. Tuttavia la cifra che illustra il vero fuoriclasse del Napoli è un piccolo, grandioso numero: ovvero l’unico che può spiegare come la squadra dipenda da lui. Ventitré assist fra campionato e coppe, sono il sigillo silente e prezioso di un calciatore nato per stupire e, soprattutto, per tenere i toni bassi in un mondo di declamatori di parole assordanti e spesso fuori luogo.

 

Fonte: Toni Iavarone per Il Mattino

La Redazione

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