La salute. Ma questo settimo Hamsik doveva avere qualche conto in sospeso da saldare: sarà che non si era mai fatto male (come se poi dovesse essere obbligatorio), però il 27 novembre s’arrende ad un accidente che ha un nome quasi irriproducibile (algodistrofia) e che gli fa saltare le sfide più importanti della Champions (Borussia Dortmund e Arsenal), che lo sottrae al campo per oltre 50 giorni, che lo lascia precipitare in una cupezza tecnica distante dal suo talento. Però poi tutto passa e quando rientra, gli rimane solo (solo!) l’astinenza: che va affrontata a petto in fuori!
E due. Ci vuole la Sampdoria, la squadra alla quale ha segnato il suo primo gol in maglia azzurra; o ci vuole “Marassi”, uno stadio che lo esalta; ci vuole il miglior Hamsik, che va a rimorchio di Zapata e ne coglie l’assist per scongelarsi, per ridersela, persino senza esultare, come se sapesse che non c’è gioia senza dolore. E infatti è solo un giro di danza, su una palla apparentemente inutile arriva Mustafi e lo manda in infermeria, con la caviglia che ha la forma d’un cocomero e l’orizzonte ch’è ancora tutto da scrutare: una volta era un intoccabile e stavolta, in questo settimo anno da principe azzurro, ha scoperto persino la panchina. Sono cambiate le gerarchie ed è cambiato il vento e non c’è neanche la possibilità di dirsi arrivederci. Distorsione: è tutto distorto, vero…
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