NO, NON VA. Il 7 dicembre del 2014 è lo spartiacque, perché Hamsik smette di godere della tolleranza collettiva e avverte, per la prima volta, d’essere un principe azzurro che ha perduto l’unanime consenso d’uno stadio ormai diviso, con una larga parte che «saluta» la decima sostituzione (su quattordici gare) con dissenso crescente, insospettabile. L’Hamsik che non t’aspetti è – tecnicamente, umanamente – un caso ufficialmente aperto, perché in discussione finisce l’uomo-simbolo di una belle epoque (ri)cominciata nel 2007 e tratteggiata da una felicità collegiale, da un’empatia scatenante, da una scelta di vita d’un giocatore elevato a totem e ritrovatosi con 874 minuti giocati (solo l’anno scorso peggio, ma s’era infortunato), due gol segnati (come soltanto nella sua prima stagione di A) e una valanga di cambi che ne sottolineano la vulnerabilità attuale.
E’ CRISI. Perché poi, persino al di là dei numeri, è un altro Hamsik, e non può essere una questione di modulo, d’un 4-2-3-1 al quale un calciatore del suo spessore, a cui Benitez concede libertà assoluta («scegliti la posizione»), l’allergia diviene manifesta. L’Hamsik del passato tagliava il campo in due, partiva per gli spazi – certo offertigli da Cavani – e invece il suo «sosia», adesso, indugia, fa torsioni, torna sul palleggio, converge verso il centro, non «sente» la porta, né le partite, che vive ai margini, mentre invece è ben dentro la sofferenza di chi sa di non rappresentarsi a dovere. «Abbiamo giocato male e così non siamo da terzo posto». Così non è Hamsik. Tu quoque…?
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