L’erba del «Barbera» è sempre più verde e in una notte fatta per segnare ancora, la denominazione d’origine incontrollabile su uno 0-3 che induce all’estasi è in quel talento che sgorga a ritmo continuo, ormai da sei anni, e che ogni volta rinfresca, secchiate d’energia che scaldano e strapazzano. Si scrive Hamsik e si rilegge tutto d’un fiato quel campionario infinito di prodezze balistiche, gol impossibili e assist imprevedibili, un calcio regale infarcito d’una autorevolezza da lasciare sbalorditi ogni domenica di più. « Sono contento è ovvio, perché abbiamo vinto. E sono contento perché ho cominciato bene, perché abbiamo cominciato bene. Io ragiono in termini collettivi ».
Palermo-Napoli si trasforma nel grande spettacolo del week-end di Marek Hamsik, la bandiera che ha scelto di sventolare (almeno) sino al 2016 su una città che ormai è sua e nella quale è divenuto leader, idolo e icona, testimonial d’un benessere interiore inattaccabile, a prova di offerte sontuose e di top club: « Perché io qua sto bene ». Le sette meraviglie incorniciate in rapidissima successione, in questi sei anni in cui il rosanero è divenuto fonte d’ispirazione, restano appese nell’album della memoria, nel librone delle statistiche; e in quella «Favorita» ch’è ormai terra di conquista, Hamsik s’è inventato il calcio, ha sfiorato un tap in intuitivo, quasi cerebrale, ha sferrato un missile terra-aria all’incrocio dei pali di Ukanj e poi per sistemare la ceralacca sulla serata ha offerto ad uno stadio ammirato e spinto all’applauso corale, ha confezionato un lancio di quaranta metri per la sovrapposizione di Maggio, invitandolo ad incartare il match e a portarlo a casa: « Abbiamo fatto veramente una grande partita e credo sia giusto fare i complimenti a tutto il Napoli ».
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