Mai una polemica. E neanche una parola di troppo. Mai. Nemmeno sulla sua posizione in campo. Che ha faticato a sentire sua. Niente. Rispettoso, sempre. Il capitano. Quello a cui tutti vogliono bene nello spogliatoio. Timido, educato. Perfetto che quasi irrita. Eppure stavolta ha voluto trasgredire. Per la felicità. Per la gioia di condividere le sue emozioni. Per una scelta che era forse anche un’esigenza di comunicare, di arrivare alla gente, di fare da megafono ad uno stato d’animo. Suo e della squadra. Nessuno aveva parlato. Neanche il Pipita, andato via, muto, dal campo col pallone della tripletta sotto braccio. «Silenzio». Ma Hamsik due parole le ha volute dire. E le ha scritte sul suo sito. Innocenti. Però vere. «Questa vittoria era quello che ci voleva. E’ stata una serata positiva. Qualche sofferenza all’inizio per il gol preso e la difficoltà a reagire immediatamente. Poi i gol, tanti gol. Una festa con i nostri tifosi. Sono felice per loro e per Gonzalo». Cresta alta, profilo basso. L’umiltà di Marek Hamsik. Elogi per tutti. Squadra, pubblico e Higuian. Ma neppure un pensiero per lui. Neanche un cenno. I meriti se li era già presi tutti sul campo. Con quell’ovazione dei tifosi che è gratitudine e affetto. Con quell’abbraccio di Benitez ch’era unità e condivisione di ogni momento. Anche i più complicati. Con quella doppietta che è forza, talento e soprattutto liberazione. Due reti per mettersi le ali. Per volare al di là di ogni impaccio tattico. Per tornare a sentirsi se stesso. E a urlare, anche lui, intimamente il suo nome al San Paalo. «Marek Hamsik, Marek Hamsik». Due volte perché due i gol. I primi del campionato. La settima doppietta da quand’è in azzurro. La prima ragazzino con Edy Reja. Un’altra con Donadoni. Due con Mazzarri e tre tutte e solo per Benitez: segnerà pure meno, ma quando lo fa con Rafa si scatena. Marek Hamsik come da un po’ non si vedeva. Segnali di crescita seminati qua e là da settimane. Qualche gol in Europa. Un paio di assist. La fretta e l’ansia di celebrarne il ritorno. Però mai decisivo davvero come contro il Verona. Mai con quel piglio di chi prende la squadra per mano. Mai con la capacità di incidere e fare la differenza. S’è sbloccato. Si è soprattutto scosso. Nella testa. E perciò nelle gambe. Hamsik dentro ma in fondo fuori dagli schemi. Come con quelle due frasi postate sul suo sito internet. Ha preso palla e parola, l’ha giocata. Ha calciato. Ha fatto gol. Quel che Benitez gli ha sempre chiesto e lui ha faticato a dargli. Interpretare il ruolo. Pensare calcio. Dipingerlo con quei piedi che sembrano pennelli. L’ultimo gol al San Paolo il due novembre di un anno fa. Contro il Catania. Poi il buio. E la rabbia, sempre garbatamente celata, di chi non si riconosce. Di chi vorrebbe ma non riesce. E non ha una vera e sola spiegazione. Parabole del calcio, traiettorie spesso inspiegabili. L’infortunio, il ruolo nuovo, qualche sostituzione di troppo e quel senso di insicurezza che fa i piedi spiglosi. Pure un rigore sbagliato con tutto lo stadio che acclamava il suo nome. Come domenica col Verona. Tutto in una notte. Una mozione d’affetto. Un abbraccio soffocante. Insieme lui e i napoletani per dare definitivamente un calcio all’altro Hamsik. La brutta copia, incupito e ordinario. Il Marek è tornato a luccicare. E il passato è un tuffo nel futuro. Domani, a Bergamo, c’è Pier Paolo Marino in tribuna. Fu lui a portarlo a Napoli. E non si sorprenderebbe di assistere a un altro show.
Fonte: Corriere dello Sport
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