Si scrive Hamsik, si rilegge il copione d’una partita consumatasi (anche) attraverso la marcatura-chiave di Pirlo, un’ossessione che colpisce chiunque, argomento di dibattito sempre: sia quando al regista viene lasciato spazio scientemente, per non perdere un uomo (come fece la Roma di Zeman) sia quando invece intorno a quella lampada si tenta di sistemare una gabbia che l’oscuri (come fanno praticamente tutti i tecnici e come ha fatto anche Mazzarri, destinandogli Hamsik).
La premessa diviene quindi inevitabile: il modulo e l’organizzazione tattica del Napoli prevedono, per il trequartista, un impegno in fase di non possesso: serve per inaridire la fonte del gioco avversario, per garantire anche equilibri nella zona nevralgica del campo, per tenere le linee sufficientemente ravvicinate e non isolare gli attaccanti dai centrocampisti. Juventus-Napoli dà sfogo ad una interpretazione neanche tanto libera: in una gara di così rimarchevole spessore, è dunque giusto concedere un talento come Hamsik al “nemico”, destinandolo a spendere energie fisiche e nervose per stare su Pirlo, rinunciando a quel bagaglio tecnico capace d’incidere come pochi o magari è possibile liberarlo da gravose distrazioni? Hamsik s’è speso con dedizione, talvolta eccedendo perché è andato persino a pressare sui difensori in uscita; ha dovuto consegnare la propria attenzione alle coperture, al pressing e persino quando ha provato a spingere ha probabilmente finito per essere assorbito (mentalmente) dalla presenza di quel geniaccio, altrimenti privo di pressione che può ridurne il suo raggio d’azione e frenarne la ispirazione. Le mansioni a cui lo slovacco è destinato risultano meno impegnative (ovviamente) contro avversari meno autorevoli di Pirlo e Juventus-Napoli forse è stato un po’ privato della verve e degli slanci e delle incursioni d’uno spacca-partite come pochi. L’Hamsik interditore non ha sfigurato affatto ma ha dovuto limitare il Marekiaro che attacca e disorienta gli avversari andando a cercarsi la posizione giusta per attaccarli.
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