HH: la formula magica che diviene utopia o persino follia, perché il tempo scorre via e settecentoventi minuti sono ormai trasformati nell’eternità, nell’irragionevole romanzone nel quale è difficile scorgere una traccia di veridicità.
HH: è il calcio del Terzo Millennio, non più «taca la bala» – lo slogan d’una epoca per certi verso unica – ma «el Pipita» e Marekiaro, Higuain e Hamsik, un argentino e uno slovacco, per dirla tutta il Napoli. HH: e c’è qualcosa che non va, nella statistica, nella logica, in questo pazzo-pazzo calcio che improvvisamente ha inaridito la vena offensiva di uno degli attaccanti più prolifici del Globo e del centrocampista che per sei anni s’è messo questo microcosmo sulle spalle e se lo è portato a spalla, a cresta alta.
NON VA . HH: ma chi l’avrebbe detto, alzi la mano coraggiosamente qualcuno, che sino all’ottava di campionato Higuain sarebbe rimasto all’asciutto e Hamsik avrebbe consegnato il compito in bianco, uno che tra il Real Madrid e la nazionale argentina ne ha fatto di sfracelli e l’altro che a Napoli è entrato (di diritto) nella hall of fame dei goleador di tutti i tempi? Però va così, adesso, e mentre intorno c’è il gelo di un autunno improvvisamente piombato con le sue folate di vento, è il momento di far cadere il tabù, di restituire se stessi al Napoli e al campionato, di ritrovarsi.
L’OSSESSIONE. Tutta colpa del san Mamés, piaccia o no: perché quella sera, era agosto e la stagione conosceva la sua alba, Gonzalo Higuain vide tramontare il proprio, umanamente ambitissimo approdo in Champions, solleticato con l’1-1 al San Paolo contro l’Athletic, prima del tracollo nel ritorno. Casa sua, diamine, la dimensione naturale per un talento di quella portata, per quell’uomo – quaranta milioni di euro per averlo – che a un certo punto ha sentito dentro un vuoto ed ha provato a colmarlo senza però riuscirci: rigore sbagliato contro il Chievo, un «gollazo» sfuggitogli dal destro a tre metri dalla linea bianca e però anche due assist degni del suo spessore (a Genova, a Reggio Emilia). Palliativi, però.
Il tormento resta la Champions e l’Europa League restituisce solo qualcosa: una rete, poi un’altra, ma non basta, non che non basta per chi è la spalla – indiscutibile – di Messi, per chi è ritenuto un «vero», verissimo, autentico «nueve».
LO CHOC. Ma ci sarebbe anche da chiedersi dove sia finito Marek Hamsik e perché mai sia sparito (quasi definitivamente) dai radar. Non può essere colpa del modulo, troppo comoda la tesi, nel 4-2-3-1 non ci sono gabbie: faccia ciò che vuole, gli ha detto Benitez, si scelga la zolla di terra, l’appezzamento a lui più congeniale. Ma Hamsik, che aveva davanti a sé, in passato, praterie, e dunque giocava nel contropiede, stavolta avverte il soffocamento della trequarti; però poi indugia, resta aggrappato al proprio piede e perde sinanche l’orientamento, fa pure la fase di scivolamento, ma non riesce a buttarsi nello spazio come in passato. «Sente» la crisi come sua, l’ha assorbito e non l’ha mai digerita, non da un anno almeno: perché in avvio della passata stagione, e pure 4-2-3-1 era, si scatenò con due doppiette, lanciò un segnale, si affezionò a quel calcio verticale che pareva fosse stato disegnato per lui. Un olio su tela, che poi è stata squarciata. HH: è la domenica del valore aggiunto, a loro «la bala».
Fonte: Corriere dello Sport
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