In nome di Diego e del suo calcio “eterno”, di quel genio che per sette anni ha incantanto Napoli, trascinandola nell’Olimpo degli dei. In nome di Diego, di quella fantasia (per sempre) al potere, d’una favola per grandi e piccini da raccontare nei secoli dei secoli (senza tralasciare nulla, manco i passaggi più “scabrosi”). In nome di Diego, l’Hall of Fame riapre e per la sua quarta edizione, avviata ieri attraverso la riunione della Giuria (tra cui il direttore del Corriere dello Sport-Stadio Paolo De Paola) e da celebrare in gennaio a Firenze, nel salone prestigioso del calcio italiano c’è quel genio (e la sregolatezza) allo stato puro che ha reso indimenticabile quei favolosi anni ‘80. Ciak, si premia, in data e luogo da stabilire: e per la Storia, e per il Museo ci saranno i cimeli della loro carriera che i premiati consegneranno simbolicamente.
In nome di Diego e però anche di Carlo Ancelotti, Sua Maestà della panchina, una vita consumata lasciandosi «piacere la coppa», la Decima senza alcun dubbio più di ogni altra, e caratterizzata con successi trasversali, conquistati abbattendo ogni frontiera ed esportando il made in Italy tra l’Inghilterra, la Spagna e la Francia, capofila d’una scuola che a Coverciano venne aperta da Italo Allodi e ne ha lanciati Maestri, Ancelotti tra questi.
In nome di Diego e però anche di Fabio Cannavaro, il Peter Pan d’un football esaltato poi a Berlino con quell’immagine che si staglia nella memoria e lì resta. In nome di Diego e anche di Beppe Marotta, l’architetto d’una Juventus da sogno, il Renzo Piano capace di ricostruire dalle macerie una Invincibile armata per tre anni campione d’Italia. In nome di Diego ma anche di Sandro Mazzola, mica solo un figlio d’arte, simbolo d’un calcio intramontabile e dell’Inter di Helenio Herrera, stavolta lui che entra e va ad affiancarsi a Gianni Rivera.
L’Hall of fame è ampia, concede (giustamente) vetrina anche al mondo arbitrale, stavolta Stefano Braschi, prima direttore di gara e poi designatore, e dal 2015 apre pure alle donne: e chi se non Carolina Morace, bomber in gonnella prima d’essere allenatore persino in quell’universo maschile (e maschilista). Ma il calcio è oltre un secolo e riserva riconoscimenti alla memoria a Carcano, a Novo e Giacomo Bulgarelli.
In nome di Diego e però anche di Fabio Cannavaro, il Peter Pan d’un football esaltato poi a Berlino con quell’immagine che si staglia nella memoria e lì resta. In nome di Diego e anche di Beppe Marotta, l’architetto d’una Juventus da sogno, il Renzo Piano capace di ricostruire dalle macerie una Invincibile armata per tre anni campione d’Italia. In nome di Diego ma anche di Sandro Mazzola, mica solo un figlio d’arte, simbolo d’un calcio intramontabile e dell’Inter di Helenio Herrera, stavolta lui che entra e va ad affiancarsi a Gianni Rivera.
L’Hall of fame è ampia, concede (giustamente) vetrina anche al mondo arbitrale, stavolta Stefano Braschi, prima direttore di gara e poi designatore, e dal 2015 apre pure alle donne: e chi se non Carolina Morace, bomber in gonnella prima d’essere allenatore persino in quell’universo maschile (e maschilista). Ma il calcio è oltre un secolo e riserva riconoscimenti alla memoria a Carcano, a Novo e Giacomo Bulgarelli.
Fonte: Corriere dello Sport
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