La tragica morte di Piermario Morosini giovane calciatore del Livorno lascia tutti attoniti. Perchè è morto un ragazzo. Perché la morte in diretta colpisce tutti in modo violento. Ancor più gli appassionati di calcio. Perché quella del calcio è una comunità. Con i suoi riti. I suoi difetti. I suoi pregi. La sua umanità. Per certi versi una comunità di stile primordiale. Con poche regole. Istintive. Note a tutti. Regole semplici. Legate ad una delle più antiche attività degli uomini. Il gioco. Attraverso il gioco gli uomini socializzano. E formano una comunità. Nella quale trovano il rifugio da una realtà talvolta soffocante e costrittiva. Spesso si vive con pudore l’appartenenza tutta sentimentale a questa comunità. Considerata dai più una comunità plebea. Costruita intorno ad un fatto irrilevante. Elementare. Un gioco.
Il gioco ha avuto un ruolo fondamentale in tutte le civiltà. Infinite le tipologie di giochi apparse e tramontate nella storia dell’uomo. Violente, muscolari, intellettuali… aventi in comune una caratteristica. L’inutilità. Un gioco deve essere inutile. Non subordinato ad alcuna finalità concreta. Il gioco proprio per la sua caratteristica di inutilità esalta la capacità dell’uomo di abbandonarsi al sogno.
Quella del calcio è una comunità, dicevamo. Con caratteristiche molto particolari. Vai allo stadio. Accendi la televisione. Guardi una partita. Vedi un calciatore. Non ne distingui il volto. Non leggi il numero che porta sulla maglietta. Eppure sai chi è. Lo riconosci. E come? Da come si muove. Dal portamento. Da come calcia la palla. In sintesi da un gesto. E riconoscere una persona da un semplice gesto è segno di intimità. È in fondo quello che capita soltanto con le persone di famiglia. Quello che consente di stabilire un legame autentico con qualcuno che non si è mai incontrato.
Così quando accade che muoia un ragazzo su un campo di calcio la comunità si ferma. Attonita. Sgomenta. Straziata dalla morte in diretta. Come si fermava la vita nelle piccole comunità dell’antichità di fronte al grande dolore della morte. Un ragazzo non può morire. E non può morire giocando. Sono affermazioni banali. Ma non retoriche. Ce le ripetevamo ieri mentre si tentavano disperati soccorsi in diretta. Ce le ripetiamo oggi. E invece accade anche questo.
Il caso di Morosini colpisce particolarmente. Il fato si è accanito contro un ragazzo la cui vita era stata segnata da una serie incredibile di sventure. La madre, il padre, il fratello… Al destino avverso il ragazzo aveva reagito. Puntando sul gioco del calcio. Scommettendo sull’avvenire da calciatore. E invece… verrebbe da dire où est passé l’avenir?
Inutili i controlli medici. Le visite preventive. Analisi. Tracciati…. Inutili i soccorsi. Le strumentazioni. La tecnologia sanitaria. Il destino ha avuto il suo terribile corso. Morosini ha tragicamente perso la sua scommessa su un futuro finalmente sereno. Verrebbe tanto da interrogarsi sul senso dell’accanimento cinico e beffardo di madre natura… ma non ha senso farlo oggi e qui. La nostra comunità commossa gli rivolge un pensiero. Ed per questo è giusto che si sia fermata.
Fonte: Il Roma.net
La Redazione
M.V.
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