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Guardiamo il Milan dall’alto e non fidiamoci!

Napoli quattro punti avanti, ma gli azzurri non sbancano San Siro dal 1986

Questa volta il Napoli può giocarsela con il Milan guardando l’avversario dall’alto in basso. I riflettori stanno per accendersi sul Meazza mentre il «ciuccio» ha ripreso a volare. E i tifosi a sognare. C’è chi ritorna col pensiero a una magica domenica di ventisette anni fa. Era il 13 aprile del 1986 e gli azzurri sbancarono San Siro con due gol di Giordano e Maradona. Da allora la tana dei diavoli è diventata tabù. Questa volta i quattro punti di vantaggio e la ritrovata tonicità della squadra permetterebbero di guardare al futuro con un certo ottimismo. Ma nel più assoluto silenzio e senza fidarsi ciecamente. Perché i napoletani sono troppo esperti nella scaramanzia per non sapere che per cucinare a puntino il diavolo oltre alla pentola ci vuole anche il coperchio. E che a parlare in anticipo di ciò che si desidera si finisce per attirare l’invidia degli spiriti malevoli. Nel 1987 anno del primo scudetto, fino all’epilogo trionfale del 10 maggio, non solo era proibito esultare ma addirittura sognare ad alta voce. Qualcuno parlò di un esorcismo lungo nove mesi compiuto da una città intera, quasi in apnea. In realtà sotto quella coltre d’indifferenza silenziosa Napoli era tutta un talismano, una fucina di amuleti, un catalogo vivente di gesti protettivi antichi quanto il mondo. A ciascuno il suo rito, eseguito ogni giorno con regolarità certosina. E spesso nel più assoluto segreto, tenendolo nascosto anche alle persone più care, per non rischiare di mandare tutto all’aria per aver detto una parola di troppo.
Perciò anche stavolta è più prudente star zitti. E che ciascuno attinga al meglio dell’immenso repertorio di scongiuri, di formule scacciamalocchio, di oggetti simbolici ereditati da una tradizione gloriosa come quella partenopea. Che della scaramanzia ha fatto un simbolo identitario, un gioco sociale. Un non è vero ma ci credo che non è mai vera superstizione, perché è sempre intriso di autoironia e di disincanto. Chi scrive, nell’anno del secondo scudetto – quello della monetina piovuta dagli spalti che illuminò Alemao come san Paolo sulla via di Damasco – non si tolse mai dal polso un orologio con l’immagine della Madonna dell’Arco. Che smise per incanto di funzionare alla fine del campionato. Evidentemente aveva esaurito il suo compito e quindi poteva pure fermarsi. Proprio come quegli oggetti magici che nelle fiabe aiutano gli eroi a vincere e poi svaniscono nel nulla. E come la «Bluesmobile», la macchina fatata dei Blues Brothers, che dopo aver consentito l’impossibile ai due mitici fratelli, si autodistrugge.
In questi casi non ci sono regole, il fine giustifica i mezzi. Ne sa qualcosa quel tifoso che alla vigilia di ogni partita importante sferra una testata contro un tavolino. Perché all’inizio della finale mondiale dell’82 era scivolato sbattendo la testa. Ovviamente sul tavolino in questione. La partita finì come finì. Of course. Ma ci sono strategie simboliche meno contundenti e più gratificanti. Per esempio baciare trenta volte consecutive la propria metà. Pare che l’effetto sia travolgente, almeno per l’amore. In realtà un risultato positivo è stato già raggiunto. In un momento difficile come questo infatti ritrovarsi intorno alla squadra è come una boccata di ossigeno per la città. Perché mostra come anche a Napoli si possa fare qualcosa che funziona. Come il Calcio Napoli. È un esempio positivo. Impegno, pazienza e investimenti aiutano a risolvere i problemi. Quelli piccoli prima, poi se il buon esempio fa proseliti, anche gli altri. E tutto questo sarà pure consolatorio, ma fa bene all’umore. Forza Napoli.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

P.S.

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