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Grande Mazzarri, panchina d’acciaio

Il tecnico azzurro non ama i paragoni e va avanti per la sua strada

Tre stagioni alle spalle e la voglia di continuare. Per la prossima è sicuro. E poi? E poi per il futuro più lontano si vedrà, si discuterà. E non è detto che l’intesa con De Laurentiis non possa andare avanti felice e turbolenta come è sempre stata. Del resto, lo dicono i risultati che la “coppia” non scoppia. Anzi funziona. Lo racconta la storia che, seppure fondata su caratteri forti e un po’ cartavetrosi, quando occorre sa ritrovarsi nel nome e nel segno di obiettivi condivisi, di comuni e rispettabili interessi, di doppie e legittime ambizioni. Bene così. Perché la continuità tecnica è un valore importante per questo Napoli tornato ad essere un “signore” del pallone.

Intanto, una cosa è certa: Walter Mazzarri è ben incamminato sul sentiero che porta all’Hall of Fame della panchina azzurra, al “tempio” degli allenatori più longevi e non a caso anche più ricchi di successi. Per Mazzarri, infatti, il prossimo sarà il quarto campionato di fila con il club. Quattro anni: da nessuna parte era riuscito a stare così tanto lui che non gradisce paragoni con gli allenatori del passato, che non ama essere definito erede di qualcuno, ma che ora, inevitabilmente, a Napoli finisce davanti allo specchio di chi l’ha preceduto.  Non ama paragoni, è al quarto anno, entra nella classifica

A CHI SOMIGLIA? – E allora, a chi dei “padri” della panchina azzurra s’avvicina di più Walter Mazzarri? A Ottavio Bianchi, finto burbero che ha vinto e goduto più e meglio di tutti? A Pesaola di sicuro no. E manco a Beppone Chiappella, milanese ma toscano d’adozione. No, non somiglia a nessuno, forse è vero. O forse no. Perché per certi versi, forse a un altro paio di loro un poco s’avvicina: a William – Billy – Garbutt, il mister dei mister, l’elegante e autoritario inglese amante della pipa più che dei dirigenti di quel tempo e per altri a Eraldo Monzeglio, maestro di tennis del Duce e dei suoi figli, sergente di ferro degli anni Cinquanta, quello che, anticipando abbondantemente Helenio Herrera, scriveva sui muri dello spogliatoio i suoi comandamenti. Intendiamoci, Mazzarri a questo non c’è mai arrivato e forse mai ci arriverà, però anche il suo rapporto con la squadra e con il campo a volte rasenta la manìa.

I SUOI SEGRETI – Lui il mestiere l’interpreta così: lavoro, programmazione, allenamenti, un foglio e una penna per disegnare schemi e posizioni, nulla lasciato al caso. E poi un gran parlare con la squadra. Sono anche questi i segreti d’una carriera punteggiata da stagioni sempre migliori di quelle precedenti. Un trend confermato anche in questi suoi primi tre anni sulla panchina azzurra: sesto posto ed Europa League al primo colpo (ma dopo aver ereditato una squadra senza forze e senza idee e con sette punti in sette gare); terzo e qualificazione Champions al secondo; trionfo in Coppa Italia, oltre che quinto in campionato e di nuovo in Europa League nell’ultima stagione. Che è stata pure quella di una entusiasmante esperienza tra i grandi d’Europa. Arrivato al suo quarto anno napoletano, Mazzarri affianca Bianchi, Pesaola e Chiappella nella classifica delle panchine azzurre più salde e durature. Garbutt e Monzeglio, almeno per ora, sono un po’ più in là.

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

A.S.

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