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Goran top player di razza “si traveste” da Higuain per guidare l’attacco azzurro

Do you remember? Centocinquantaquattro giorni: l’eternità era in quel vuoto pnemuatico, cinque mesi abbondanti a cercar se stesso, a chiedersi dove fosse finito Pandev, a dimenticar persino che (in mezzo) c’erano le vacanze. Deformazione professionale: perché i bomber son fatti così e a un certo punto, avvertono il peso del digiuno, la sofferenza intima del gelo che piomba intorno. Poi, oplà, Marassi, e il Genoa, una delle vittime eccellenti (e preferite): uno, due e avanti tutta, per dimenticare e per ricominciare, per ritrovarsi nel bel mezzo dell’area e sentirla ancora sua.

RIECCOLO – L’Arsenal è la «pagliuzza nell’occhio» che s’è trasformata in trave, un fastidio insopportabile, per il modo: ma domani è sempre un altro giorno e in quel Napoli-Livorno c’è la rivincita preparata accuratamente, le riflessioni d’una quattro giorni tormentata, la chance da riafferrare contro un’altra avversaria «specialissima», sei reti fin qui segnate in otto sfide e la voglia matta di lasciar sfilare via il fumo di Londra, quel senso di inferiorità palese (e però momentaneo) trasmesso in un’ora e mezza d’umanissima difficoltà.

COUNT DOWN – I conti alla fine tornano egualmente e fa nulla se lo score personalissimo lascia un retrogusto amaro: sei reti nella prima stagione, altre sei nella seconda, però infilandoci dentro, nel computo complessivo, il trionfo in Coppa Italia da restare svegli una notte intera ( «come si vince qua non si vince da nessun’altra parte») e la qualificazione in Champions League per riprovare ad essere Golan Pandev, il bomber senza macchia e senza frontiere, capace di arrivare in doppia cifra pure in azzurro (come nei tre precedenti con la Lazio, quando riuscì a toccare per due volte quota undici ed in una circostanza addirittura i quattordici, tetto personale) e magari di provare l’ebbrezza d’una rete «internazionale» con quella maglia ormai appiccata addosso come una seconda pelle. Il San Paolo è casa sua (l’anno scorso, quattro su sei a Fuorigrotta) ma è da aprile (guarda un po’, con il Genoa) che non riesce a festeggiare sotto una delle curve.

JOLLY – Non c’è Higuain ed allora tocca a Pandev, l’uomo ovunque scelto da Benitez per andare a coprire l’intero fronte offensivo, il vice-pipita o anche il vice-Hamsik, il centravanti e quindi pure la seconda punta; però all’occorrenza pure il laterale (come con il Bologna), un generoso multiuso che gioca dove serve e che per il Livorno si riaffaccia in quei sedici metri considerati il proprio habitat naturale: «Ma io sono a disposizione del mister». E stavolta pure di se stesso, del suo famelico desiderio di continuare sulla retta via del gol ritrovata a Marassi: a lui l’area di rigore, senza avere Zapata come «apriscatole», senza avvertire – ovviamente – il peso d’una delusione consegnata abbondantemente agli archivi.

TOP PLAYER – Napoli, Napoli, decisamente Napoli: inseguita tre estati fa, agguantata in chiusura di mercato con un prestito oneroso, poi conquistata definitivamente sino a spingere De Laurentiis a riscattarlo: sette milioni di euro per avere in organico un profilo altissimo, il pupillo di Mourinho nell’era del triplete, e per consegnare al Napoli l’abitudine a vincere. Pandev è nei numeri ciò che doveva essere: 69 gare in campionato, 7 in coppa Italia e quindici tra Europa League e Champions; una spruzzata d’esperienza che ad appena trent’anni è d’impatto nel turn-over: Higuain in tribuna e in campo, a destreggiarsi, ci va quel centravanti che è un po’ «falso nueve» ed in realtà è tant’altro ancora.

Fonte: Il Corriere dello Sport

La Redazione

M.V.

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