Vincere aiuta a vincere: ma per trasmettere quel virus, quel senso di padronanza dello stress, della tensione, quella capacità di governare pure le emozioni e talvolta le paure, il curriculum vitee aiuta. Altrimenti, serve un pizzico di coraggio: ma pure in materia calcistica don Abbondio ha un suo perché; ed alora, se non cer l’hai diventa complicato darselo da sé. Goran Pandev da qualche giorno ha otto milioni di buoni motivi (e di euro) per diventare il pesce-pilota da seguire nei mari tempestosi dell’Italia e dell’Europa, tra quelle acque in cui i pescecani abbondano e il rischio d’esserne divorati è palpabile. Il Napoli che verrà non si discosterà granché dal Napoli che l’ha preceduto e pure stavolta, attraverso il profilo basso, la ricerca dell’eccellenza è garantita: ci sono cose che non si possono dire – e che infatti vengono taciute – ma al di là delle frasi di circostanza, l’aspirazione di restare nell’elite, di lottare – finché possibile per il vertice – di dare un senso alla sua storia contemporanea, rimarrà la priorità.
Goran Pandev è rimasto per una serie di (ottime) valutazioni: intanto, ha la fiducia incondizionata di Mazzarri, che l’ha voluto un anno fa e l’ha inserito come condizione per restare; poi, ha ormai assorbito la città, l’ambiente, e ne è rimasto stregato; in squadra, ha ascendente, ed è perfettamente compatibile con Cavani e con Hamsik: ha l’età giusta per lasciarsi crescere alle spalle – facendogli ombra quando serve, lasciandoli poi emergere quado sarà necessario – tanto Insigne, quanto Vargas; e, infine, ha un medagliere che nessun altro dei compagni può esibire, avendo conquistato l’impossibile con l’Inter di Mourinho ed essendo stato (già) capace di essere investito del ruolo di leader nella Lazio che con Delio Rossi approdò in Champions e batté persino il Real Madrid.
E’ l’abitudine a frequentare l’altura che facilita il processo di maturazione collettiva e Pandev ha mostrato di avere i connotati ideali per divenire un titolarissimo, anzi di più; per cantare nel coro dei tenori principali; anzi di più: persino per inventarsi un ruolo da solista. Perché tanto, e lo dice la sua storia personale, il passato ritorna: e un «triplete» alle spalle basta (e avanza) per sfidare le insidie d’un palcoscenico abbagliante come il San Paolo.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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