Eh sì, Baggio: il divin codino; e poi Totti, er cucchiaio e quant’altro; e a seguire Del Piero, Pinturicchio d’autore pure dal dischetto. E poi, udite udite, Beppe Savoldi: il rigore è un’arte e a quei tempi, favolosi anni ‘70, l’artista era Beppe-gol, un superman dagli undici metri, 45 volte a segno, a modo suo…
In che maniera calciava Savoldi?
«Di giustezza, mai di potenza. Corsa lenta, occhi fissati sul portiere, la decisione sull’angolo soltanto un istante prima dell’impatto con il pallone».
Oggi è più difficile segnare, onestamente.
«La tv ha svelato i segreti di chi va a cercare fortuna dal dischetto e aiutato i portieri nella loro ricerca. Però resto dell’avviso che un rigore parato sia sempre un rigore sbagliato. Ci vuole freddezza e anche tecnica: io puntavo su entrambe le qualità. Una volta fui leggero e mi andò male».
Rievochi per le nuove generazioni.
«A Milano, contro l’Inter, venivo da una serie di sedici su sedici, mi capitò il diciassettesimo penalty: a Napoli mi stuzzicarono, guarda che porta jella. Il numero uno interista era già a terra, volli angolare troppo e misi il pallone fuori».
Inutile randellare, dunque?
«E’ anche dannoso. La puoi mandare in curva. E invece in quel momento serve la perfezione, perché hai semplicemente tutto da perdere e niente da guadagnare. E allora devi ricorrere all’autocontrollo, ma anche alle tue capacità balistiche».
Come mai il Napoli ne sbaglia così tanti?
«Mi riesce complicato trovarne le ragioni, anche perché Cavani ed Hamsik sono due fenomeni. E’ strano, non l’avrei mai detto».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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