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Giuseppe Cacciatore: “Calcio, vietiamo le scommesse”

L'opinione del filosofo sull'attuale momento del calcio italiano

La scommessa, oggetto del gioco d’azzardo, esiste sin dai primordi dell’umanità e si è via via perfezionata nel corso dei secoli. Ciò che fin dalle età primitive era legato ai numeri e ai simboli come modalità di un pensiero magico che spinge gli uomini a mettere in palio la propria esistenza nel gioco agonistico con i suoi simili e nel coinvolgimento della tribù (si pensi al gioco della palla degli antichi aztechi o alle gare dei gladiatori romani o al gioco dei dadi nell’antica Cina), è diventato nel corso dei secoli meno cruento ma non meno pervasivo di intere società e comunità. Persino il filosofo Pascal per dimostrare l’esistenza di Dio usò l’argomento della scommessa. Si potrebbe dire, allora, che il gioco d’azzardo e il sistema delle scommesse sono caratteri antropologici intimamente connessi al modo d’essere dell’uomo, portato spesso a correre il rischio (il francese hazard, da cui azzardo) e a puntare scommesse sul suo esito. Il problema si complica enormemente quando questi caratteri originari dello scommettere entrano a contatto con gli stili di vita, gli strumenti odierni della comunicazione (specialmente la televisione), la massificazione dello sport, l’uso massiccio dei computer e dulcis in fundo – ma si dovrebbe dire in cauda venenum – il proporsi dello Stato come organizzatore e canalizzatore delle scommesse, ma anche e soprattutto fruitore (attraverso il fisco) di una parte del denaro messo in circolazione. Naturalmente col passaggio dalla società divisa rigidamente in classi (era difficile che il minatore inglese potesse recarsi all’ippodromo di Ascot per scommettere sui cavalli) alla società liquida e multiforme della contemporaneità, tutti possono scommettere su tutto (persino sulla morte dei papi o sul sesso del nascituro del principe di Monaco) semplicemente cliccando un sito on line. Tutta questa filippica professorale per dire che è inutile piangere sulle vacche scappate dalla stalla se si è lasciata la porta aperta. Fuor di metafora. Quando si è consentito di passare dalla sana schedina del Totocalcio degli anni ’50 e ’60 alla diffusione capillare del sistema delle scommesse e quando ci si è arresi allo strapotere monopolistico dei padroni delle televisioni, dei padroni e dei distributori di slot machine (spesso collegati a mafia e camorra), dei gestori delle sale da Bingo e così via, non deve meravigliare che scoppi (e riscoppi in verità) lo scandalo del calcio-scommesse. E allora hanno ragione coloro che sostengono interventi radicali che vanno al di là della stretta cerchia del calcio giocato. Non bastano i proclami dei giocatori onesti, non serve lo sfogo, del tutto comprensibile, di Prandelli sulla possibilità che la squadra azzurra si ritiri dai campionati europei, non ha senso il pur generoso sfogo di Monti quando propone che il calcio si fermi per qualche anno. È un clamoroso errore, sia quello di Prandelli che quello di Monti, giacché le loro proposte si basano sul convincimento che il calcio si possa autocorreggere e generare dal suo interno i germi del rinnovamento e della pulizia. Il fatto vero è che intorno al calcio vi sono milioni e milioni di euro che circolano, vi sono interessi di grandi patron che sono anche grandi imprenditori (dalla Fiat a Mediaset, dai produttori cinematografici ai costruttori), vi sono i tentacoli della piovra della criminalità organizzata. Insomma, i calciatori vanno puniti e le società giustamente penalizzate, ma non basta. Ora per il momento lasciamo giocare la nazionale, ma non si faccia come nelle occasioni passate, quando le vittorie dopo gli scandali contribuirono a mettere il silenziatore. Bisogna invece essere radicali. Ho letto da qualche parte che in Germania è stato vietato il calcio scommesse a qualsiasi livello e con qualsiasi strumento. Se fosse vero, perché non iniziare con questo provvedimento? Certo vi sarebbero grosse perdite per l’erario e gravi danni per il sistema delle ricevitorie (gremite, come mi è capitato di vedere, di ragazzini e ragazzine dodicenni), ma il male va curato alla radice, altrimenti la carie tornerà e farà sempre più male di prima.

Fonte: Il Roma.net

La Redazione

M.V.

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