Giulio Donati da Pietrasanta. Storia di un ragazzo semplice, sincero. E di un calciatore che, sbarcando in Bundesliga, non soltanto ha acceso le luci del Bayer. Ma anche alimentato le speranze di chi, percorrendo le strade della gavetta, all’improvviso si ritrova in cima a un sogno. E lo vive ad occhi aperti. Questa chiacchierata nasce grazie all’intermediazione di un amico comune, quasi una cosa causale. E Donati si racconta, con la semplicità di un venticinquenne che ha messo il bavaglio a Ribery, ha segnato in Champions. Ma che non dimentica la parola “semplicità” come comune denominatore. Basta leggere questo racconto che fa trasparire la genuinità di Giulio.
“Sono molto felice in Germania. Una scelta convinta, non soltanto tecnica, ma anche derivante dalla necessità di scoprire nuovi posti. E di conoscere nuove culture. All’inizio è stata dura, ma per fortuna mi sono aiutato con l’inglese. Ora conosco il 40-50 per cento della lingua tedesca, capisco e mi faccio comprendere, sono soddisfatto di questo. Vivo a Colonia, venti chilometri da Leverkusen, devo ringraziare di cuore i cugini di Curiale. Si, proprio l’attaccante ex Frosinone che si è trasferito da poco al Trapani: mi hanno adottato, si sono messi a disposizione, mi hanno fatto sentire a casa. La gente è tranquilla, una volta mi hanno fermato al supermercato per farmi i complimenti dopo una bella prestazione contro il Bayern, in pratica un’eccezione. A livello tattico non ho imparato grandi cose, sono convinto che gli allenatori italiani restino i migliori in circolazione. Ma la mentalità è diversa: l’esterno deve restare altissimo, coprire gli ultimi 40-50 metri in modo fisso, senza soluzione di continuità. E deve pensare a spingere, a sovrapporsi, in modo da lasciare il segno in qualsiasi momento. Insomma, un martellamento continuo. Il momento indimenticabile? L’esordio all’Old Trafford. Ma anche l’assist a Sam, che oggi gioca nello Schalke, durante la gara contro il Psg. Ma una data a caratteri cubitali c’è: 22 ottobre 2014, a segno in Champions contro lo Zenit, impossibile da raccontare la gioia che avevo. Ho pensato alla mia gavetta, agli insegnamenti di Vincenzo Esposito, l’allenatore che ho avuto a Prato e che mi ha insegnato più degli altri. I due anni nel settore giovanile dell’Inter? Ho vinto poco, ma sono stati formativi e quindi li ricordo con piacere. Cosa penso del ritorno di Santon? Davide ha fatto bene, evidentemente riteneva chiuso il suo ciclo con il Newcastle. Se l’Inter ha sbagliato a spendere soldi per un cartellino che era suo? No, la ritengo una mossa giusta e intelligente. Del resto, sugli esterni c’è sempre bisogno di qualità… Un mio ritorno in Italia? Nulla escludo, ho sentito parlare dell’interesse di Fiorentina e Napoli, non può che far piacere. Tuttavia, sono sincero, mi intrigherebbe un’esperienza in Premier, anche li l’atmosfera ha un grande fascino. La scelta di Giovinco? Non capisco quelli che pensano sia stata una scelta esclusivamente economica. Certo, i soldi sono molto importanti ma immagino che prima di andare dall’altra parte del mondo siano fondamentali altre componenti. La città, i programmi del club che ti chiama e che ti vuole, investendo tanto. Credo che per Seba sarà un’esperienza indimenticabile. Chi supererà prima, tra Inter e Milan, il momento difficile? Non lo so, bella domanda, ma so che Mancini è un grande allenatore. Ma stimo tantissimo Mihajlovic, secondo me ha il carisma e la competenza per fare una carriera prestigiosa. I lamenti di Conte per la storia degli stage? Lo capisco, ma è sempre stato così, un vecchio problema mai risolto. No, non faccio il diplomatico, dico quello che penso. Anche se il calcio è un mondo difficile dove due virgolette in più possono stravolgere il senso di qualsiasi discorso. Ma è anche un mondo che mi ha dato tanto, compreso un amico vero come Paloschi: ci siamo conosciuti da ragazzini, andiamo sempre in vacanza, una stima profonda. Spero che da questo racconto sia venuto fuori Giulio, persona semplice e professionista corretto. Lo devo ai miei genitori, sono figlio unico. Loro non possono spostarsi sempre per venire in Germania, ma ho uno zio affettuoso che spesso prende il primo volo utile per la Germania: si chiama Giuseppe, è il mio primo fan, ci vogliamo bene. Quando ci rivedremo in Italia? No, di mercato ora non parlo…”.
Ecco Giulio Donati, acqua e sapone. Ma statene certi: se sulla fascia gli capiterà nuovamente di incrociare mister Ribery, non abbasserà lo sguardo. E penserà agli ultimi 40-50 metri di campo, perché in Germania gli hanno insegnato così. Come se fosse un passaparola: “attaccalo, attaccalo…”. Quando la mentalità ti cambia la vita.
Fonte: Alfredopedullà.com
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