Il noto giornalista del quotidiano Repubblica commenta nel suo editoriale lo spiacevole episodio riguardante l’esposizione di striscioni a dir poco beceri da parte della curva della Roma durante il match interno contro il Napoli:
Infami. Basta una parola per i due striscioni esposti ieri all’Olimpico. Infami gli striscioni, infami quelli che li hanno pensati, scritti ed esposti. Perché evidentemente non bastava un tifoso del Napoli morto ammazzato, morto dopo quasi due mesi di coma. Bisognava anche camminare sulla sua memoria, usare un morto per far male ai vivi. A sua madre, in particolare. Mai nominata, perché anche i peggiori infami conoscono il codice. “Che cosa triste: lucri sul funerale con libri e interviste”. “C’è chi piange un figlio con dolore e moralità e chi ne fa un business senza dignità”.
Rieccoli, i talebani della curva, i custodi di moralità e onore, i giudici del dolore altrui. Antonella Leardi, la madre di Ciro Esposito, per loro era il bersaglio ideale. Ha sempre parlato, con dignità e forza, contro la violenza. Odio e violenza sono il carburante dei talebani del pallone. In questo caso, anche ignoranza. Perché è vero che la madre ha scritto un libro sul dramma del figlio, ma non ci ricava un euro. Il ricavato delle vendite andrà al Gemelli, un ospedale di Roma, quello dove Ciro è morto, e una clinica pediatrica di Posillipo.Doppia infamia, quindi. Ed è per questo che gli striscioni dell’Olimpico, giustamente mai inquadrati da Sky, hanno la precedenza su partite interessanti, su bei gol. Perché esiste anche una classifica della civiltà, e grazie agli infami dell’Olimpico si è toccato il fondo.
Infame è una parola molto frequente nel vocabolario ultrà. Infami a turno sono arbi- tri, giocatori, dirigenti, poliziotti, giudici, giornalisti. Non la uso a caso. Ed è triste che molti abbiamo tirato un respiro di sollievo. Si temevano altri scontri, forse un morto. È andato tutto bene. Davvero? Per quegli striscioni si è scusato il sindaco Marino, sui social network l’ha fatto la parte sana dei tifosi romanisti. Non è morto nessuno, ma è sempre più fioca la speranza che ci sia un limite al peggio, che in uno stadio si possa andare solo per tifare civilmente, non per sputare addosso (di questo si tratta) e ferire i vivi usando i morti. Di vivo, e ferito, eppure ancora capace di usare parole ragionevoli, buone e alte, non c’è solo la madre di Ciro Esposito. Sono, siamo, in tanti, tantissimi, e sappiamo che gli infami, quand’anche ci fosse la volontà o la possibilità di identificarli, rischiano pochissimo, quasi nulla.
I dirigenti della Roma, dice un rigo sull’Ansa, dicono che non commentano mai gli striscioni. E fanno male. Cosa pensa il presidente Pallotta, abituato a ben altro clima negli stadi americani. E Garcia? I giocatori? Il dg Baldissoni? Tutti zitti. Eppure l’Olimpico è casa loro. È la Roma che paga gli steward, il servizio d’ordine. È in grado qualcuno della Roma di spiegare come allo stadio entri di tutto, dai peggiori striscioni al materiale “esplodente? Queste sono domande tecniche, nel caso li disturbasse l’etica.
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