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Gianello: “Chiedo perdono. Volevo suicidarmi”

Chiedere a Gianello di raccontare Gianello si può?
«Non è semplice ma ci provo: la sentenza della Corte mi ha tolto un peso enorme dalla coscienza, perché anch’io ho sofferto e tanto, anch’io ho provato dolore e tanto. Sapevo di aver messo a rischio la carriera di Cannavaro e Grava, ai quali voglio bene sempre, e di aver pregiudicato il cammino del Napoli, al quale mi legano stagioni indimenticabili».
Dovesse scegliere un termine per definirsi, lo troverebbe?
«Per prima cosa, eviterei traditore: io non ho tradito, mai, né Paolo, né Gianluca, né il Napoli. Se vuole, scriva pure: sono stato un ingenuo, un facilone o anche un coglione. Ma è stata la sciocchezza d’un momento, la prima e l’ultima della mia esistenza».

Le dessero un mezzo per comunicare con i suoi ex compagni di squadra Cannavaro e Grava, lo utilizzerebbe per dire cosa?
«Chiedendo il perdono per averli trascinati in quell’inferno di cui hanno parlato. Ma chi ha fatto loro del male non è stato Matteo Gianello, che dopo sette ore e mezza in Procura, dove non ero mai stato, s’è lasciato andare. Il traditore è un altro, è un uomo che si spacciava per nostro amico. Io devo delle scuse, che ritengo un atto d’umiltà doveroso: spero che stiano meglio, che possano continuare a vivere serenamente. Io resto tra le fiamme».

Ventuno mesi di squalifica: meglio sleale che corruttore.
«Mi sono sentito definire delinquente e bandito, per un atteggiamento che non è mai appartenuto al mio modo di essere. Io non ho mai scommesso e lo posso urlare ad alta voce: devo un grazie particolare all’avvocato Eduardo Chiacchio, che mi ha sempre sostenuto e m’ha spinto al ricorso. Mi ha creduto, perché m’ha guardato in faccia e dentro. La giustizia sportiva mi ha prosciolto da quell’ipotesi di reato. Ora spero che mia madre, mio fratello, i cardini della mia forza interiore, superino le sofferenze a cui li ho costretti».
La mattina, allo specchio, Gianello cosa si raccontava?
«Sono entrato in depressione. Ho pensato al suicidio. L’ho accarezzato come soluzione e non ne ho avuto il coraggio. E quando m’è capitato di leggere che qualcuno s’era spinto a tanto, riuscivo a comprendere che la frontiera tra il farlo e il non farlo restava sottilissima. Io sono devastato, però dal 17 gennaio mi sento meno inutile. Le sensazioni che mi hanno spezzato in due, dal giorno della penalizzazione e dei sei mesi a Paolo e a Gianluca, restano ma si vanno attenuando: almeno il Napoli ha riavuto ciò che doveva e Cannavaro e Grava possono ricominciare».
I suoi prossimi venti mesi indurranno ad ulteriori riflessioni?
«Non ho nient’altro da dirmi, spero solo che si smetta di parlare di querele, di risarcimento danni. C’è il Gianello che per sette anni è stato a Napoli e ha condiviso le gioie della ricostruzione, partendo da Paestum, ed è poi rimasto con dignità al suo posto; e poi c’è il Gianello che ha ceduto in una circostanza a una incredibile sciocchezza. Ora voglio stare in pace come me stesso, ritrovare il gusto della vita: nei momenti della solitudine, quando ritenevo fosse arrivato il momento di farla finita, mi sono convinto che quel bene prezioso ch’è l’esistenza va affrontata con i sentimenti che mi hanno accompagnato sempre, tranne in una occasione».
Mai più vista una partita di calcio?
«Neanche in tv. M’è capitato talvolta di dare un’occhiata alla Premier, raramente però. Avvertivo come un senso di colpa, che deve scomparire: io sono una persona perbene, chi ha avuto modo di conoscermi lo sa. E’ una macchia non può rappresentare un pregiudizio eterno. Avverto nostalgia del calcio, ci mancherebbe, e Napoli m’ha concesso talmente tante gratificazioni che le minacce ricevute non rimuovono. Spero di poter ricominciare un giorno, per poter spiegare ai bambini cosa non si fa ma anche quello che si fa, perché io lo so come ci si comporta».

Fonte: Corriere dello Sport

 La Redazione

 A.S.

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