L’idea: perché l’origine del (nuovo) progetto è in quella filosofia importata nel luglio scorso, modellata a immagine e somiglianza di Benitez e poi via via alterata dagli eventi, dagli accidenti sparsi qua e là, dagli infortuni a catena, ora Mesto e ora Zuniga, ora Hamsik e ora Reina. L’idea è lì, rifiorita tra le mani, con il concetto di calcio da sviluppare attraverso gli uomini e però anche il modulo, costruendolo in quel laboratorio che, osservando gli uomini, pare liberato dalle nubi e (ri)proiettato in quella dimensione tattica immediatamente raggiunta, poi smarrita e ora furiosamente inseguita. Si riparte dalle origini, dall’agosto scintillante, dal settembre elettrizzante, dalla proiezioni in quel futuro apparso luminoso: sempre 4-2-3-1, ci mancherebbe, però avendo ora certezze, le garanzie di un organico «completo», la leggerezza di Ghoulam, la ristrutturazione d’un mosaico nel quale calarsi attraverso il talento di Jorginho e però pure la riemersione di Behrami,
IL RIENTRO – Perché poi gl’interpreti hanno un peso, legata alle proprie capacità tattiche, all’elasticità, alle intuizioni che diventano letture tattiche, alla versatilità ma pure alla personalità: Roma-Napoli è l’ennesimo esame (stavolta in due sedute) ed affrontarlo con Behrami al fianco è iniezioni di coraggio, una bella spruzzata di fiducia, un venticello d’ottimismo lieve che aiuta a sfogliare il «librone» con le opzioni sulle giocate, sulle coperture, sulle diagonali, sulla fase attiva e (innanzitutto) su quella passiva.
LA NOVITA’ – Ma c’è anche la possibilità di variare, di assumere un po’ di freschezza atletica, di appoggiarsi alle alternative, di andare a scorgere quali orizzonti possa inseguire la rapidità di corsa che sembra offrire Ghoulam, la sua spensieratezza: perché in quel febbraio abbondante che si para dinnanzi al Napoli, dunque a Benitez, ci sono pure angoli di passaggio strettissimi, intasati dal calendario, che appesantiscono le gambe.
CIAK – Il «nuovo» Napoli, la propaggine di quello iniziale, è però in quel centro di gravità permanente affidato stavolta a Jorginho, al suo estro e alla sua naturale vocazione a guidare (però facendosi guidare dal sistema), alla intraprendenza nel giocare verticale (o anche orizzontale) ma consentendo al pallone di correre attraverso l’elasticità dei propri pensieri: è la funzione del regista moderno, è la disciplina sostenuta dal brio, è l’inventiva che aiuta a osare e rende semplici le opzioni apparentemente complesse. Jorginho è il made for Italy del Napoli che sta (ri)germogliando nella testa di Benitez, lo snodo d’una (ri)edificazione del profilo autorevole vagheggiato per quel Napoli, il generale ormai investito dei ruoli per il campionato e per questa Coppa che hanno un valore mica solo commerciale.
LA FANTASIA – Ma i dubbi, nella vigilia gonfia d’amarezza, restano a galleggiare intorno alla formazione: sabato sera c’è il Milan e l’acido lattico è un nemico da prevenire, non da combattere; è l’avversario «implicito» di Maggio e Fernandez e Albiol, che reggono da un’eternità, e poi anche di Inler e Callejon, mai compiutamente risparmiati, né in odor di panchina per quell’Olimpico che stimola e rimuove ogni accenno di fatica, che sarà di Higuain e anche di Hamsik e (probabilmente) di Mertens. Perché tutto (ri)comincia da lì, da un’idea di Napoli
Fonte: Corriere dello Sport
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