La stampa cittadina di sabato scorso ha dato la notizia che l’amministrazione comunale intende realizzare un nuovo stadio del calcio a Ponticelli e operare il restyling del San Paolo a Fuorigrotta. Abbiamo più volte denunciato che il quartiere è tra i più degradati dell’area orientale, vi abitano 45mila napoletani in un spazio di 900mila ettari interamente cementificati in modo caotico e si trova a pochi centimetri dalla zona rossa vesuviana (dove gli scienziati sconsigliano di costruire alcunché e dove una legge regionale favorisce la fuga degli abitanti con incentivi economici), è perciò un quartiere che non può essere di un moderno stadio del calcio, con relativi parcheggi e attrezzature commerciali e di svago e con una rete di trasporti pubblici urbani. Non c’è lo spazio fisico. In tutte le città serie del mondo (tra queste Salerno, Torino e Bari) gli stadi del calcio si realizzano fuori dai territori comunali. Ci sarebbe da ripetere il discorso sulla città metropolitana per ribadire ancora una volta che Napoli non è un’isola in mezzo al mare e che i suoi problemi (tra questi il nuovo stadio del calcio) devono trovare la loro soluzione in una dimensione sovracomunale. Quanto al San Paolo giova ripetere che Pier Luigi Nervi, tra i grandi progettisti del secolo scorso, lo considerava “tra i più belli del mondo” e che è stato trasformato nel “più brutto d’Italia” dall’oscena gabbia di ferro dell’inutile copertura che l’avvolge e stravolge dai Mondiali 90. Per riportarlo allo splendore del suo primo giorno autorevoli studiosi cittadini e nazionali hanno proposto dodici anni fa di trasformarlo in una struttura di quartiere da destinare alle quotidiane attività sportive e ludiche della gioventù napoletana e alle gare nazionali e internazionali di atletica leggera. Si è dichiarata d’accordo la Soprintendenza ai Beni Architettonici che ha proposto di inserire il San Paolo tra i beni artistici di interesse nazionale di cui alla legge 42/2004 in virtù del fatto che “l’opera può essere messa in relazione con la migliore produzione architettonica italiana e internazionale e, perciò, costituisce un importante momento della storia dell’arte e della cultura meridionale”. Detto questo, trovo necessario ripetere quanto già scritto sull’andazzo di coprire gli stadi. Quel che è accaduto venerdì sera 15 giugno allo stadio Donbass Arena di Donetsk nei primi 5 muniti della partita tra l’Ucraina e la Francia dimostra la validità della tesi secondo cui le coperture degli stadi sono inutili e costose. E, soprattutto, mostruose. Un violento temporale ha costretto l’arbitro a sospendere la partita per impraticabilità del campo. Ma, a dispetto della costosissima copertura, ha costretto migliaia di spettatori ad abbandonare i loro posti battuti dalla pioggia e dal vento. La televisione ha mostrato per decine di minuti le immagini desolanti delle tribune deserte perché sommerse dall’acqua. È noto che la normativa Uefa impone che la copertura non deve superare i bordi del campo di gioco nella presunzione, sbagliata, che la pioggia cada verticalmente. Ma dato che la pioggia è sempre accompagnata dal vento accade che l’acqua cade non solo sui giocatori ma anche sugli spettatori dei posti più vicini al campo di gioco. Ne deriva che Il loro numero cresce in funzione dell’intensità del vento. Talchè non è per caso se il 99% degli stadi del mondo non sono coperti. E dato che l’Uefa non consentirà mai di coprire completamente gli stadi, compresi i campi di gioco (un calcio indoor sarebbe mostruoso), non si potranno scongiurare accadimenti come quello del 15 giugno al Donbass Arena di Donetsk. Trovo perciò incomprensibile l’ostinazione dell’amministrazione comunale a voler costruire (a Ponticelli, poi, e non nell’area metropolitana dove buon senso vorrebbe) un nuovo stadio coperto, secondo la moda di costruire mostruose tartarughe col carapace bucato. E a non volere liberare il San Paolo dalla oscena gabbia di ferro dell’inutile copertura.
Fonte: Il Roma.net
La Redazione
M.V.
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