Nell’accezione più nobile sono il frutto di una brillante semina del talento. In quella più bieca lo strumento per truccare i conti. Le plusvalenze, cioè il guadagno dalla vendita dei calciatori, presentano tante sfumature e sono, in fondo, trasversali: grandi e piccole, ricche e povere, non possono farne a meno. In Italia ancor più che altrove. Lo dicono i numeri dell’inchiesta della Gazzetta, che ha spulciato i bilanci dei club del massimo campionato fotografando l’ultimo quinquennio. Tra il 2013-14 e il 2017-18 le società di Serie A hanno accumulato 2.673 milioni di euro di plusvalenze da cessione giocatori. Nella sola ultima stagione questa voce, che dovrebbe rappresentare una componente straordinaria del reddito a differenza dei diritti tv, del botteghino e degli sponsor, ha rappresentato un quarto delle entrate della A. Non v’è dubbio: è in atto in Italia un uso abnorme e malsano di questa leva bilancistica. La riprova sta nel confronto con le grandi leghe europee. Nel quinquennio esaminato solo la Premier League ha registrato lo stesso livello di plusvalenze (2.686 milioni) ma con un giro d’affari quasi triplo della A; nettamente indietro la Bundesliga (2.161 milioni) e la Liga (1.815).
Il fenomeno è tornato prepotentemente alla ribalta, dopo la bolla a cavallo degli anni Novanta e Duemila che portò il Governo a varare nel 2002 il decreto “spalma ammortamenti”, consentendo la svalutazione dei calciatori in 10 anni. Il rischio di ricadere nell’antico vizio è alto, perché l’aumento del valore contabile dei giocatori, quando non è sostenuto da ragioni tecniche ma dalla necessità di creare artificialmente delle plusvalenze, finisce per ingrossare i costi sino a renderli insostenibili. La Serie A ha conosciuto di recente un balzo delle plusvalenze, quasi raddoppiate nel 2016-17 rispetto all’anno precedente superando quota 700 milioni. E se in quell’esercizio l’exploit era parzialmente giustificato dalle vendite-record di Pogba (96,5 milioni di guadagno per la Juve) e Higuain (86 per il Napoli), nel 2017-18 la voce è ulteriormente cresciuta senza grandi crack (il picco i 39,1 milioni della Fiorentina per Bernardeschi) fino a toccare i 738 milioni. Insomma, l’abuso di plusvalenze si è fatto sistema.
IL CASH DOV’È?
Resta il nodo degli scambi con iper-valutazioni senza un reale passaggio di denaro, peraltro favoriti dalla stanza di compensazione della Lega che da un lato fa da garante alle compravendite tra società di A ma dall’altro minimizza il passaggio di denaro. Il presidente federale Gravina, in primavera, ha lanciato un avviso ai naviganti: “Tutti gli scambi senza finanza andranno segnalati alla procura e alle società di revisione”. Quando è una semplice operazione contabile senza cash, la plusvalenza abbellisce il conto economico del club, magari evitando ricapitalizzazioni, ma non migliora lo stato di salute finanziaria, come dimostra l’avanzata inesorabile dei debiti in Serie A (vicini ai 2,2 miliardi, al netto dei crediti). Quando è reale, certamente rappresenta il frutto della valorizzazione degli asset, a patto di non considerarla una fonte di entrata strutturale e irrinunciabile perché il mercato, si sa, ha mille variabili.
LE BIG
Tra il 2013 e il 2018 le regine delle plusvalenze sono state la Roma e la Juventus, con incassi rispettivamente di 331 e 327 milioni. Strategie aggressive di trading che sono proseguite anche nel 2018-19: i giallorossi hanno registrato circa 130 milioni di plusvalenze, da Alisson alle operazioni di giugno (Manolas e Pellegrini); per i bianconeri oltre 120 milioni, raggranellati senza rinunciare a top player ma con pedine come Audero, Cerri, Mandragora, Sturaro. La corsa alla vendita negli ultimi giorni disponibili per la registrazione a bilancio (chiusura al 30 giugno) è diventata un must per molti. Ci si è messo pure il fair play Uefa. Ne sa qualcosa l’Inter, avvezza ormai a micro-cessioni di ragazzi del vivaio per raggiungere la fatidica somma. D’altronde, le esigenze sono le più disparate: c’è chi lo fa per problemi di cassa, chi per rientrare nei parametri regolamentari. Plusvalenze buone per tutte le stagioni.
fonte:gazzetta.it
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