Dev’essere stato per esigenze di retorica, per assecondarne l’aspetto aggressivo, con quella cresta di capelli che sembra la pinna di uno squalo, eppure molti hanno glissato negli anni sulla vera essenza di Marek Hamsik, «un bambino prodigio sì, ma soprattutto un ragazzo buono, un campione di semplicità». Le due anime che convivono nel fenomeno di Banska Bystrica – 2 ore di auto da Bratislava – le racconta Igor Bobik, il suo primo allenatore allo Slovan, la Juve della Slovacchia, dove il talento purissimo del Napoli vuole ritrovarsi stasera, perché quei suoi capelli ribelli non sono mai stati così spettinati come adesso, come forse i suoi pensieri. E qui a Bratislava Marek modellò anche il suo personaggio unico: qui si è fatto il primo tatuaggio sul polpaccio destro, qui si è inventato la cresta. Sì, è stato il migliore anche nel Brescia (segnalato nel 2004 da Maurizio Micheli, allora osservatore per conto del patron Corioni, che lo vide realizzare una doppietta alla Lituania e 1 gol alle Far Oer nelle qualificazioni all’Euro Under 16) e nel Napoli nelle ultime stagioni. Con la cresta sempre alzata e i consigli preziosi dell’agente Juraj Venglos. Ma da qualche mese a questa parte il campione si è un po’ perso tra il turn over e lo schema 4-2-3-1 di Rafa Benitez, una sofferenza per uno abituato a giocare un tantino più indietro, con la porta davanti agli occhi e gli spazi da attaccare coi suoi proverbiali inserimenti. Un ex bambino che, all’improvviso, sembra meno imprevedibile di prima.
Fonte: Gazzetta dello Sport
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