Juan Carlos Garrido è cresciuto a pane, calcio e istruzione. Il primo arrivava dal bar di famiglia, accanto a Mestalla. Il secondo era praticato nelle strade del quartiere che circonda lo stadio del Valencia. La terza offerta dall’istituto dei Padri Scolopi, anche quello in zona, dove l’allenatore del Villarreal ha studiato.
La leggenda vuole che Garrido fosse l’unico alunno invitato a giocare nella «mitica» squadra dei professori, luminari della tattica oltre che di algebra e storia. Garrido ride di gusto.
«Leggenda, dice bene. Un ex alunno è diventato giornalista e ha lavorato un po’ di fantasia. È vero che giocavo con i “profe” però non ero l’unico, a loro mancava gente e chiamavano gli alunni. L’influenza migliore l’hanno avuta sulle mie nozioni di matematica e d’inglese, non di tattica».
Peccato, era una bella storia.
«Mi dispiace rovinarla, e allora la correggo: chi ha avuto un ruolo fondamentale sulla mia carriera di allenatore è stato Jorge Simò, che agli Scolopi insegnava educazione fisica e divenne il preparatore di Guus Hiddink quando arrivò a Valencia. Mi portava agli allenamenti: vissi in prima persona un’autentica rivoluzione. Hiddink e Cruijff introdussero in Spagna metodologie d’allenamento innovative che oggi, 20 anni dopo, sono di grande attualità. La filosofia del “rondo” (il torello, ndr), il possesso palla, le partitelle in spazio ridotto, gli allenamenti fatti tutti e sempre col pallone…».
Lei aveva 22 anni, e ragionava già da allenatore. «Mi resi conto presto che nel calcio non avrei sfondato e cominciai ad allenare a vent’anni. Feci bene a livello regionale e nel 1998 arrivò la chiamata del nuovo presidente del Villarreal Fernando Roig, che mi affidò la direzione della cantera. Il Villarreal era alla prima stagione in Liga, non c’era la ciudad deportiva, il vivaio andava rifondato. Ho imposto stile di gioco e regole d’allenamento per tutte le categorie inferiori. Due anni fa abbiamo portato il Villarreal B in Serie B e lo scorso anno in prima squadra 9 canterani. È stata fatta tanta strada».
Sette mesi fa avete incontrato ed eliminato il Napoli in Europa League. «E da allora tante cose sono cambiate: allora loro pensavano al Milan, dopo lo 0-0 al San Paolo al ritorno fecero turnover, vincemmo noi e 4 giorni dopo persero 3-0 col Milan. Oggi il Milan l’hanno battuto 3-1, sono in grande forma mentre noi siamo in difficoltà. Tra voci di mercato, la cessione di Cazorla, arrivi tardivi e infortuni abbiamo passato un’estate difficile e ancora non abbiamo preso il ritmo, tutt’altro».
Analisi tecnica del Napoli. «La miglior squadra italiana, senza ombra di dubbio. Oggi meglio del Milan e dell’Inter. Intensa, veloce, aggressiva, capace di giocare a gran ritmo, con fisico e rapidità nell’arrivare alla porta avversaria. E poi affamata, ha giocatori di grande qualità che hanno voglia di sentirsi importanti».
E a livello societario? «L’esempio di come si può costruire una grande squadra senza fare follie. Mi dicono che ci sia una politica salariale piuttosto rigida, quest’estate molti giocatori del Napoli erano richiesti da grandi squadre e sono rimasti lì».
E voi? «I grandi giocatori dobbiamo prenderli quando ancora non lo sono. Oggi non potremmo mai permetterci di portare a Vila- Real uno come Giuseppe Rossi. Dobbiamo giocare d’anticipo: abbiamo 45.000 abitanti e un fatturato che lo scorso anno abbiamo ridotto da 80 a 60 milioni di euro. Però ragioniamo da grande: in due Champions siamo arrivati a semifinali e quarti, e quelli restano gli obiettivi».
Mica facile. «Tutt’altro. Abbiamo un gruppo con la miglior squadra italiana, la miglior tedesca e una delle due migliori inglesi, col Manchester United. Tre avversarie che possono vincere la Champions. Noi però ci proviamo: abbiamo perso in casa col Bayern e la cosa ci ha colpito a livello di autostima: se vogliamo ritrovare fiducia e andare avanti in Champions dobbiamo far punti al San Paolo, con o senza Giuseppe Rossi»
La Redazione
C.T.
Fonte: Gazzetta dello Sport
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