Certo dev’essere un complotto: perché è successo proprio ora, alla vigilia della «Partita» – la maiuscola, please – quella attesa per mostrarsi a San Siro, per restare aggrappato al Napoli con gli artigli e con i tackle, per togliersi da dosso, ma anche da dentro, la scoria d’un rapporto tormentato. Certo la fortuna è cieca e certo c’è di peggio nella vita (da mediano) d’un calciatore: però stavolta la sorte – quella maligna – ci ha visto bene ed ha scelto di lasciare Walter Gargano fuori da San Siro, completamente. Né in campo e né in panchina e neppure in tribuna, ma accomodato sul divano di casa, combattendo stavolta con il dolore (fisico) e resistendo per un mese almeno: lo zigomo destro è andato in frantumi, tutta colpa di una gomitata (chiaramente fortuita) rimediata in allenamento con Mertens, però a sferrargliela, non c’è dubbio, è stato il destino, che si è impossessato dell’antivigilia d’un match da vivere ad altissima velocità ed ha trascinato il mediano fuori strada.
INTERVENTO. Già fatto, inutile perdere ulteriore tempo: al pomeriggio di un venerdì 17 (chiaro, no?), nella clinica Pinetagrande, il profumo dell’erba di Castelvolturno s’è mischiato con quello insopportabile che conduce dritto in sala operatoria. Riduzione della frattura, poi la prognosi che non fa sconti: se tutto va bene, ci vorranno una trentina di giorni, e così pure la scelta di rinunciare alla Nazionale per dedicarsi completamente al Napoli, in vista d’un tour de force in cui sarebbero servite gambe e corsa e generosità, è stata inutile.
RIVINCITA. Nessun’altra Partita ha, nel corso del torneo, lo stesso valore simbolico di questa, la rivincita personale di un uomo che ha dovuto fronteggiare, e in che modo, l’accusa di Alto Tradimento della propria gente: e Inter-Napoli, in novanta minuti, racchiude (va) l’essenza d’una stagione, la sintesi d’un processo di riavvicinamento definitivo; perché il tormento di oggi, quella contestazione sistematica d’una parte del tifo, cominciò proprio due anni fa, quando Gargano – ormai depotenziato da Mazzarri e marginale a quella squadra – passò all’Inter e si lasciò fotografare dinnanzi alla playstation di nerazzurro vestito: era la sua squadra da bambino. Non gli è stata perdonata, quella “debolezza”; e gli è stato anzi chiesto – e a gran voce – di togliersi la maglia (del Napoli) di dosso: e lui, niente, avanti tutta, a testa bassa, rientrando a Castelvolturno dalla porta di servizio e scoprendo che in Benitez non c’erano preclusioni, nessuna, e che anzi per lui s’era persino spalancata la metà campo d’una squadra fatta vibrare a suon di forcing e di pressing. E quando Inter-Napoli sta per divenire una sorta di testimone da consegnare alla propria gente, una dimostrazione (l’ennesima) della propria professionalità, pum, il colpo netto, che lo manda ko. Stavolta più nero che azzurro.
Fonte: Corriere dello Sport
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