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Garcia: “Scudetto? No, ma siamo in fuga verso la Champions”

ROMA – Rudi Garcia, può spiegare in due parole la sua squadra?  «Possiamo andare al pressing molto in alto. Così è nato per esempio il primo gol contro l’Inter. Ranocchia probabilmente ha sbagliato, però c’era lì Balzaretti a raccogliere. Poi Gervinho, Totti e Florenzi pronti a proporsi. Non sempre troviamo le condizioni per giocare così, naturalmente. Quando non è possibile, le linee devono rimanere strette». 
E De Rossi arretra tra i centrali difensivi.  «Oh, Daniele è molto intelligente. Sa che cosa fare in ogni momento. Lui scende, De Sanctis può uscire dalla porta. Per me difendere è un compito che coinvolge tutta la squadra». 
Ha ipnotizzato De Rossi? «Gli ho soltanto parlato al telefono. Quando sono arrivato era in ferie dopo la Confederations Cup. Normale che l’abbia contattato. Per niente normale il fatto che di lui si dicesse: gioca bene in Nazionale e male nella Roma. Assurdo per chiunque e specialmente per un ragazzo nato a Ostia e cresciuto in giallorosso».  

E ha voluto tenerlo.  «Certo. Non potevo perderlo alla fine della preparazione. Il patto era: se resti fino a una certa data, resti e basta. Poi si è presentato il Manchester United, coi soldi in mano. Daniele ha detto no. Esistono ancora uomini di parola a questo mondo». 

Ha voluto Gervinho a dispetto dei santi e ha avuto ragione.  «Giocava così anche a Lilla. Anzi, adesso è maturato, attacca e difende. Ed è tranquillo, sicuro di sé. Il fisico è importante, la testa è al centro di tutto». 

Non le resta che trovare una soluzione nel caso Totti un giorno rallentasse. «Misera la squadra che sa giocare in un solo modo. Noi siamo in grado di cambiare schemi e prendere di sorpresa l’avversario. Si è visto a Milano con l’Inter. Francesco nella sua veste attuale ha bisogno di toccare molti palloni e aprire spazi per i compagni, ma per esempio può partire dalla fascia e illuminare ugualmente il gioco. Non c’è un modo migliore di un altro di vincere le partite. Meglio, la partita. Una alla volta».  

Ma è vero che con lei vanno in campo sempre gli stessi? Sinora è sembrato di sì. «A Lilla era differente perché avevamo la Champions League e si giocava ogni tre giorni. Finora a Roma ho utilizzato 18 giocatori. Torosidis è entrato e ha fatto benissimo, Marquinho e altri idem. Destro sarà presto a disposizione, spero. Tutti i giocatori della mia rosa sono importanti e tutti loro hanno l’intelligenza di capirlo». 
Per ora non c’è giocatore che non parli bene di lei.  «Sono un istintivo. Una stretta di mano, occhi negli occhi e si capisce se tutto è a posto. Se non lo è, si parla».  

Sette partite, sette vittorie. Si sarà detto: sono davvero bravo. «Mi sono detto: i miei giocatori hanno capito velocemente la mia impostazione del gioco.  Io sono limitato  a spiegarmi e a rassicurarli.  Così quelli in difficoltà hanno ripreso fiducia. In difficoltà, intendo, con i tifosi o meglio con alcuni stupidi». 
Ah, lo ribadisce.  «Non si può amare una maglia e insultare coloro che la indossano». 

Questione razzismo. Adesso si chiudono gli stadi.  «Il bello del calcio è che per chi è in campo il colore della pelle di un giocatore non conta. Conta solo il talento. Non sta a me indicare soluzioni. Spetta a chi ha responsabilità e potere normativo. Io posso solo dire che i bambini di oggi saranno i tifosi di domani. Insegnanti e società sportive giovanili possono fare molto, più delle famiglie che in tanti casi sono sbriciolate. Lo sport è tra le migliori scuole di vita».

Parole.  «Fatti. Anche per gli adulti le regole ci sono, applichiamole. In Italia esiste un meccanismo unico: si conoscono esattamente i nomi delle persone che vanno a vedere una partita. Individuare chi crea problemi è possibile. Prendiamoli e sbattiamoli fuori degli stadi. Daspo, mi sembra che si chiami la sanzione». 

Diciamo qualcosa su Roma-Napoli?  «Giocare venerdì mi sta benissimo. Era la mia prima scelta. Entrambe le squadre sono messe nelle medesime condizioni. Mi ha fatto piacere sentir dire a Prandelli: so che c’è una partita e mi comporterò di conseguenza, con buon senso. Dovrebbe essere sempre così, ma naturalmente una cosa è l’Italia già qualificata e un’altra le squadre ancora in lotta per andare al Mondiale. I giocatori convocati per le Nazionali devono comportarsi in un modo semplicissimo: battersi al 100% per il proprio Paese, quindi tornare il più velocemente possibile per preparare il nostro match». 
Dov’è che la sua Roma può ancora crescere?  «In un mucchio di cose. In un singolo giocatore. Nel modo di affrontare certe situazioni particolari, tipo la superiorità o l’inferiorità numerica. Nell’ottimizzare le caratteristiche di alcuni uomini. Di perfetto fino a questo momento ho visto solo l’azione del Parma quando ha segnato contro di noi».

Su, dica la parola.  «Scudetto».  

E’ facile, no?  «A dirsi sì. Più che a pensarci. Abbiamo la Juventus e il Napoli a due punti. In Spagna l’Atletico Madrid ha vinto otto partite in fila. Vogliamo sostenere che batterà Barcellona e Real? Per noi l’importante è il margine che già abbiamo sulla quarta. Oppure sulla sesta». 

C’è differenza. La stessa che passa tra Europa League e Champions League. «Diciamo sulla quarta. La quarta va bene».

 

La Redazione

G.D.

Fonte: Corriere dello Sport

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