Cinque per cinque. Prima osservatore e direttore sportivo, dal 2004 agente, sono venticinque gli anni passati da Silvio Pagliari nel mondo delle trattative del calcio italiano. “Il mercato lo conosco bene” – dichiara Pagliari ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Ho cominciato la mia carriera nel mondo del calcio a 24 anni e da quel momento ho svolto principalmente due ruoli, quello di direttore sportivo, incarico ricoperto fino al 2004 e poi quello da agente. L’attività effettuata come dirigente è stata fondamentale per capire le dinamiche e il modus operandi di alcuni dei miei colleghi e indubbiamente mi ha dato una grossa mano una volta deciso di intraprendere la carriera da agente. Mi sono levato soddisfazioni in entrambi i settori”.
Le cinque migliori operazioni concluse da direttore sportivo? “Tre di queste le ho concluse con laSampdoria, quando, da responsabile del settore giovanile, ho portato in blucerchiato Guido Marilungo, Modibo Diakitè e Fabrizio Cacciatore, tutti ragazzi che poi hanno giocato in A. Per le ultime due mi trovo un po’ in imbarazzo, perché in realtà vorrei citarne tante, però quelli che mi vengono per primi in mente sono Christian Bucchi al Perugia, portato dall’Eccellenza marchigiana alla serie A e Riganò al Taranto“. Fondatore della Player Management, dal 2004, come detto, Pagliari è passato dall’altro lato del tavolo. Anche qui grandi soddisfazioni, ecco le migliori cinque: “Tante operazioni, dire cinque nomi non è affatto semplice. Ma qualche operazione è uscita meglio delle altre, senza dubbio. Quella che mi viene in mente per prima è quando ho portato il brasiliano Alemao dal Santos all’Udinese. Poi Giulio Donati al Bayer Leverkusen,Fausto Rossi al Valladolid, Marilungo all’Atalanta per 4,7 milioni di euro e, naturalmente, Gabbiadini al Napoli per 12,5″.
Non sempre tutto va come lo si era programmato. A volte le trattative saltano o qualche giocatore adocchiato viene preso da altre scuderie. Qual’è il più grande rimpianto di Silvio Pagliari? “Mi dispiace non aver mai avuto la possibilità di veder giocare Jack Bonaventura quando era ragazzino. Lui giocava nel Tolentino, a casa mia, purtroppo quando ne avrei avuto l’opportunità era ormai troppo tardi, perché nel 2004 lui si trasferì nell’Academy affiliata all’Atalanta Margine Coperta e io ero fuori, smisi proprio quell’anno di lavorare alla Sampdoria e non ebbi mai l’opportunità di vederlo giocare nemmeno una volta. Glielo dico sempre quando lo incrocio, lo considero un grandissimo calciatore. Un vero peccato”
Quanto è cambiato il calciomercato nel corso di questi cinque anni? “E’ cambiato tantissimo, è diventato frenetico, al passo con i cambiamenti dettati dalla globalizzazione. Adesso la ricerca si fa più ampia, i giocatori si vanno a scovare anche fuori dai confini italiani. Se prima nelle trattative non c’era molta fantasia, adesso bisogna ingegnarsi di più. Italiani? Sì, ho sempre avuto un occhio di riguardo per loro, anche se c’è sempre stato un po’ di scetticismo intorno ai nostri ragazzi. Si sa, l’erba del vicino è sempre più verde. E’ un modo di pensare con cui purtroppo bisogna convivere”.
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