Andare avanti insieme, in questo caso, sarebbe accanimento terapeutico. Meglio staccare la spina, meglio far respirare al calciatore aria diversa e permettergli, altrove, di esprimere qualità fuori dal comune che a Napoli troppo spesso sono rimaste chiuse a doppia mandata in uno stanzino del San Paolo. Manolo Gabbiadini ha già fatto le valigie ed è pronto a rimettersi in gioco in un’altra squadra. Ha messo nel borsone che presto imbarcherà nel volo diretto in Inghilterra, o in Germania, anche il pallone scaraventato alle spalle di Tatarusanu nell’ultima sfida del 2016 al Franchi. Un ultimo dolce ricordo prima di voltare pagina: con qualche rimpianto, ma senza guardarsi più indietro.
E’ uno dei più grandi rimpianti della gestione Sarri, la vittima sacrificale di un integralismo tattico che dalle parti di Napoli ha regalato e sta regalando grande calcio. In un 4-3-3 che non conosce deroghe Gabbiadini non è né un’ala né una prima punta. E’ un ibrido ricco di qualità inespresse, più talentuoso di quel Leonardo Pavoletti che prenderà il suo posto, ma sicuramente meno idoneo del suo successore a far parte del gruppo azzurro.
E’ giunta quindi l’ora di dirsi addio dopo due anni di alti e bassi, trascorsi senza mai avere la certezza del posto da titolare. I tempi erano probabilmente maturi già la scorsa estate, ma il passato è passato e rinvangarlo non gioverebbe a nessuno. Adesso è l’ora di guardare avanti, di ritrovare la fiducia e il sorriso. Di giocare con continuità e ricordare a tutti, in primis a se stesso, che il suo sinistro in Italia ha pochi eguali.
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