Tutto cambia. Pure la mappa dei cognomi. Sono 172 i Gabbiadini in Italia: tutti o quasi in Lombardia, eccetto due in Liguria. E uno, probabilmente, era proprio lui. Censimento da aggiornare però. Subito. I Gabbiadini mettono piede (il sinistro) anche in Campania. Il certificato di residenza di Manolo dice ora Napoli. Zona Posillipo per l’esattezza. Per cinque anni almeno, fino al 2019. Manolo Gabbiadini ha già cominciato a vedere casa. Un giro veloce con Silvio Pagliari, il procuratore amico. Un paio d’ore a spasso per la città, aspettando si facesse l’orario per tornare a Genova. Ha ancora un po’ di faccende sue da mettere a posto. Cose private. Tornerà in serata, forse già con la compagna. E sarà lei a scegliere l’appartamento, rigorosamente vista mare. Lì ci passeranno le giornate, quieti e riservati. Qualche puntatina al ristorante, e una passeggiata col cane. Manolo il Gabbiadini napoletano: il primo, stando a quella mappa. Sembra già ambientato. La foto del suo profilo twitter è una cartolina. C’è il Vesuvio, via Caracciolo, c’è il mare. L’ha annussato ieri per un po’. Sveglia presto, la colazione a Castelvolturno, le prime strette di mano nello spogliatoio, le firme sul contratto, due chiacchiere con Benitez, allenamento, pranzetto leggero e via verso la città. Passando, e non per caso, per il San Paolo. Sarà il suo stadio. E con la Juventus saranno 50mila e più anche per lui. Gabbiadini l’oro di Napoli. Il colpo del mercato di gennaio. L’affare di cuore più caro di questi tempi nei dieci anni di De Laurentiis. Mai nessuno era costato tanto. Undici milioni più due di bonus, tredici totali. Uno in più di Edu Vargas, turboman. Pure se poi, l’uomo vero delle moto, e dei motori, è proprio lui. Fino a sedici anni, Gabbia per tutti, faceva il meccanico nell’officina dello zio Daniele. Part time. La mattina imparava il mestiere, di pomeriggio faceva i gol con gli Allievi della Primavera. E’ cresciuto imitando la sorella Melania, bomber implacabile. Cominciò da portiere. Poi scoprì quanto è bello segnare. Più che esultare. Alla Samp i compagni lo tormentavano. Un braccio alzato e una botta di adrenalina: tutto qui. De Silvestri gli organizzava anche le scenette, lui faceva una smorfia e soprattutto di testa sua. Gabbiadini il bergamasco tipico. Silenzioso, introverso e lavoratore. Assai. Timido. La spedizione dei mille innamorati all’aeroporto, l’ha stupito. Ma pure fatto felice. Un’accoglienza come quasi mai s’è vista, soprattutto a gennaio. Prezzo che sale, entusiasmo che s’impenna: Dossena 3,6 milioni, Datolo 6,8, Mannini poco più, Vargas il craque, Gabbiadini il botto. Centravanti, seconda punta, esterno, ovunque voglia Benitez. Duttilità e sacrificio. E disponibilità. Pure se poi, lui vi risponderà sincero: «mi sento una punta». Il gol, la sua missione. Quello nel derby, e l’ultimo alla «sua» Juventus, la certificazione del talento. Ventitré anni da qualche mese. E 23 è pure il numero che ha scelto di maglia. La cabala non l’ha scalfito. Ce l’aveva Michael Jordan, un mito. Ma soprattutto è quello di LeBron James, il suo idolo. L’omone da 203 cm dei Cavaliers con le mani che sembrano un mirino e la capacità di giocare dappertutto. Il basket NBA è la sua passione. La vacanza a Miami il pretesto per andarlo a vedere. LeBron è The King, il Re. Lui, Manolo, il Reuccio del mercato. Il sinistro, il suo scettro.
Fonte: Corriere dello Sport
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