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Futuro in Europa, non dipende solo dai moduli

Nel suo biennio Prandelli ha plasmato un’Italia non più attendista

Anche qui, allo stadio Miejski di Poznan, Cesare Prandelli insiste su Balotelli e Cassano. Fa vedere a tutti, pure a chi non vorrebbe dare vantaggi, le esercitazioni dell’Italia, le ultime in attesa della Croazia, e i due attaccanti sono loro, i titolari della prima gara. Il cittì ha appena detto, nell’incontro con i media, di avere solo un dubbio. Lì davanti. Ovvio che sia Di Natale il giocatore sul quale sta riflettendo. Nel finale della rifinitura lo mette al posto di SuperMario e accanto all’altro Totò.
Prandelli sembra seguire più la logica che l’istinto. Va per la sua strada che è sempre la stessa. Quella di non cambiare subito, se le energie ancora assistono i suoi interpreti. È accaduto a Firenze, nei tempi d’oro con la Viola: con tre gare in una settimana, le prime due le affrontava senza fare avvicendamenti. È successo anche in azzurro, per quasi venti mesi, con il sistema di gioco della sua nazionale, il 4-3-1-2 accantonato, chissà se solo momentaneamente come assicura lui, per la figuraccia del 1° giugno contro la Russia, in amichevole a Zurigo, passando al 3-5-2 con De Rossi in mezzo ai difensori centrali Bonucci e Chiellini, per lo stiramento al polpaccio che ha bloccato Barzagli.
La logica, insomma. Lo schema della Juventus campione di Conte e sei bianconeri in campo, come l’Italia mundial di Bearzot nell’82 in Spagna: meglio andare sul sicuro, affidandosi alle indicazioni e alle certezze del campionato. Senza, però, rinnegare le scelte iniziali circa i due grandi esclusi di Marcello Lippi: Balotelli e Cassano, con i quali la nazionale, a furor di popolo, ha voltato pagina.
Se Prandelli dovesse seguire l’istinto, titolare partirebbe Di Natale. Perché sono tanti i motivi che lo spingerebbero a mettere in campo l’attaccante dell’Udinese. La facilità nel trovare il gol, l’intesa con Cassano e l’abilità per fregare qualsiasi avversario con movimenti semplici efficaci. Ma, se toccherà ancora a Balotelli, probabilmente peserà più l’aspetto psicologico che quello tecnico-tattico. Per non scaricare subito SuperMario e rischiare di perderlo per il domani. E perché sa colpire in profondità come Di Natale e, contro giocatori fisici come i croati, in questa sfida si calerebbe alla grande. E perché l’altro riesce comunque a comportarsi bene pure entrando dalla panchina.
Nel più grande stadio polacco, così moderno e di lusso da essere nella categoria elite grazie anche ai suoi più di duecento punti di ristoro, l’Italia si gioca l’Europeo. Prandelli, dopo il pari contro la Spagna, è certo che questa sia la partita più difficile. La più complicata. E anche quella decisiva. Lo insegna la storia azzurra dal 2002 a oggi. Nel mondiale nippocoreano di dieci anni fa la seconda gara, proprio contro la Croazia, costò cara alla nazionale di Trapattoni: battuta 2 a 1, anche per colpa di due reti annullate a Vieri e Inzaghi dall’arbitro Poll inglese come Webb designato per questa sfida di Poznan. L’Italia fu seconda e le toccò la Corea del Sud che Moreno la buttò fuori agli ottavi.
In Portogallo, Europeo del 2004, non si capirono Vieri e Buffon, Ibrahimovic fece gol di tacco e la Svezia, pareggiando nel secondo match contro l’Italia, ebbe la possibilità di fare 2 a 2 nel terzo con la Danimarca, per un’altra eliminazione degli azzurri del Trap. Anche in Germania, nel mondiale 2006 che finì con il trionfo a Berlino, la frenata alla seconda per la preoccupazione di Lippi: 1 a 1 con gli Usa e l’espulsione di De Rossi che prese quattro giornate per la gomitata a McBride. Nel 2008, nell’Europeo in Austria e Svizzera, Donadoni ringraziò Buffon che parò il rigore a Mutu, evitando la sconfitta agli azzurri: 1 a 1 con la Romania, ma secondo posto nel girone. Ai quarti la Spagna, per l’eliminazione ai rigori.
Se la Croazia, battuta solo nel ’42, è pericolosa in campo per l’Italia, i suoi ultrà lo sono per l’Uefa. Tra i diecimila attesi a Poznan, duecento sono temutissimi. Li ha segnalati alla polizia locale quella di Zagabria. A casa loro hanno il divieto di ingresso negli stadi, qui no: gli basta avere il biglietto. Sono ultranazionalisti, spesso ubriachi e sempre feroci. Quando possono, fanno invasione. Mille non hanno il tagliando per il match e resteranno in centro città. Per scatenarsi. Lo stadio Miejski sarà presidiato da 300 agenti polacchi. Chissà se basteranno per quei duecento hooligans. L’allarme è scattato da ieri sera.

Fonte: Il Mattino

La Redazione

M.V.

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