Cari amici vi scrivo: e in quell’atmosfera da calcio letterario, nella magìa d’uno scontro tra filosofie che intendono sublimare il football, Napoli-Cagliari diviene (quasi) un pretesto, la scappatoia per rifugiarsi nella narrazione, il dribbling per sfuggire alla «normalità» delle vigilie e scoprire cosa si nasconda dietro quegli uomini sostanzialmente «diversi». Napoli-Cagliari è Benitez-Zeman, è il confronto – anche generazionale – tra due opposti che però (si) attraggono, è un microuniverso nel quale Filippo Fusco, diesse (ed architetto del Bologna), s’è ritrovato coinvolto attraverso il senso autentico d’una affezione bipartisan che smantella la partita e raffigura i simboli d’un mondo che cerca d’essere (talvolta) una favola.
Chi è Benitez?
«Un maestro di calcio, con un curriculum da far impallidire. Ma innanzitutto un gentiluomo, con il quale è semplice condividere riflessioni ad ampio raggio. Una persona squisita, maniacalmente legato alla sua professione: il suo contributo, in questo Napoli, è pure nella volontà di creare i presupposti perché la società entri di diritto, attraverso l’importanza che riconosce alle strutture, nel novero dei top-club. Una visione che va oltre il risultato».
Chi è Zeman?
«Il modernismo per sempre: sono trent’anni che va al di là dei luoghi comuni e del tridente, è l’uomo dei sogni perché attraverso il suo modo di essere – non solo tatticamente – ha creato uno stile di vita. E con Benitez ci sono vari punti di contatto, tra cui quello di essere aziendalista».
Tecnici fascinosi.
«Che attraggono, quasi magneticamente, per il modo in cui si comportano, per la capacità di sedurre. Sono marchi che si attaccano alle folla, la conquistano con la sobrietà, un distacco naturale ed una autorevolezza che appartiene al codice genetico ma anche alla propria cultura».
Calcio verticale, però attraverso una gestione diversa.
«Correnti di pensiero che garantiscono, cercano di farlo, il divertimento: il desiderio di vincere la partita senza speculare, ma provandoci a modo proprio. Benitez fa possesso, Zeman verticalizza: guardano avanti, sempre».
L’etica e anche l’estetica.
«Profili vicini, pur nella diversità che è in ognuno di noi: però c’è il sacro rispetto per la gente, ma anche per le proprie idee; fanno un uso sempre appropriato nel linguaggio, persino talvolta nella durezza di un’analisi. Ma sai che non c’è cattiveria, semplicemente la convinzione di ciò che hanno pensato».
Lei contribuì a portare Zeman al Napoli e, quattrodici anni dopo, l’avrebbe voluto a Bologna.
«Due epoche diverse: Napoli è quasi un’altra vita, una ferita, un progetto demolito troppo in fretta, quando stava per decollare. A Bologna sono venute meno le condizioni, proprio prima di partire: ma l’affetto, la stima, l’amicizia restano solidissime».
Quando Zeman fu esonerato, Fusco strappò il contratto da direttore generale e salutò.
«Avvenne in maniera brusca, brutale: in tv, alla Domenica Sportiva, per scelta di uno dei due presidenti di quel Napoli dell’epoca, Corbelli. Non mi piacque nulla, né la tempistica e men che meno le modalità e le motivazioni: un contratto non è per sempre, la dignità sì».
Guarderà la partita?
«C’è un legame, sia con Benitez che con Zeman, che non può lasciarmi indifferente dinnanzi ad un appuntamento del genere; e poi c’è il piacere di vederli di fronte, avversari e non nemici, protesi l’uno e l’altro in una sfida che è un concetto non astratto. E infine si gioca al san Paolo: Napoli è casa mia e, se mi passa la battuta, devo essere ospitale. Dunque, ci sarò».
Domandaccia: da che parte sta?
«In medio stat virtus….».
Fonte: Corriere dello Sport
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