Hamsik, Higuaín, Callejon: tre firme sulle marcature ma anche sull’intera partita e forse su tutto questo primo Napoli “beniteziano”. Marek sembra ormai un campione consacrato, non sbaglia un tiro, da fuori e da dentro l’area è un cecchino e sforna classe su ogni palla che tocca, dagli stop ai passaggi e alle progressioni. Altri due gol ed è il capocannoniere dei suoi, questo perché con Benitez ora può giovarsi di meno incarichi in copertura e può spaziare sulla linea offensiva più o meno come vuole. Si giova certamente anche delle graduali partenze prima di Lavezzi e poi di Cavani: è ormai lui la bandiera, è lui il campione che non si toglie di dosso la maglia azzurra e adesso ne porta anche la fascia da capitano. A chi dice che è un talento che sta maturando la consacrazione fra i top-player europei, andrebbe risposto assolutamente che ormai lo è diventato. Higuaín lo era già un top-player consacrato. Si vede che era il centravanti del Real Madrid: ha tecnica, corsa, potenza ed esperienza, dialoga con i compagni, detta le triangolazioni, lotta contro la difesa avversaria, recupera palloni. La prima rete in campionato, con assist al bacio di Insigne, è il sigillo che meritava, ma il grosso della sua prestazione è tutto il resto del lavoro che si è sobbarcato. Quanto a impegno e dedizione non è da meno Callejon, un altro ex-Real e un altro che sa fare tutto. Sbaglia pochissimo e tocca bene la palla, si inserisce alla grande, segna e sa difendere: nel sistema aperto di Benitez, entro cui tutti possono strappare un posto, lui sembra aver conquistato una maglia da titolare.
Dietro questi nomi, il resto della squadra ha lasciato luci ed ombre a Verona. Behrami non era il solito gladiatore, anche penalizzato da un Inler per lunghi tratti impreciso, lento e spaesato, com’era spesso l’anno scorso. Salvo poi crescere alla distanza con qualche tiro da fuori (proprio come l’anno scorso), ma Inler deve fare di più se vuole dare la sensazione che il Napoli davvero non ha bisogno di un nuovo acquisto a centrocampo. Un nuovo acquisto invece – e non ci stanchiamo di ripeterlo fin dal precampionato – sarebbe servito per le corsie laterali: Maggio è davvero insoddisfacente, impreciso negli appoggi, inesistente nei cross e spesso anche inefficace in copertura (molle su Paloschi in occasione del secondo gol clivense). Si sa che Mesto è un giocatore volenteroso ma non da squadra che lotta per lo scudetto e gioca in Champions. E allora restano Zúñiga e Armero e una soluzione potrebbe essere vederli insieme, il primo a destra e il secondo a sinistra. C’è da dire che Zúñiga, cresciuto come Inler solo nel finale, non ha giocato bene a Verona, nonostante la recente proposta di rinnovo che dovrebbe rasserenarlo: un po’ svagato e poco aggressivo, spesso distante dal suo dirimpettaio (come in occasione della prima rete, quando si è perso Thereau), sembrava peccare di sufficienza. Alla distanza è venuto fuori, ha persino sfiorato il gol, ma l’ingaggio che potrebbe trattenerlo a Napoli esigerebbe molto di più da lui.
A metà del primo tempo e ad inizio ripresa il Chievo ha messo il Napoli alle corde, complice una serie imbarazzante di errori azzurri negli appoggi e nei disimpegni difensivi. Difficile trovare meno di due colpevoli per ciascuna delle due reti clivensi: Reina insicuro su entrambe, divide le responsabilità prima con Britos e poi con Maggio. Uno sbandamento che sembrava avere questo corollario: la resa difensiva del Napoli è inversamente proporzionale al potenziale offensivo. Tuttavia, c’è da dire che al di là delle lacune il Napoli ha mostrato, proprio nelle difficoltà, un buon carattere, o meglio personalità. Non quel carattere che tirava fuori con Mazzarri nelle situazioni disperate per ribaltare partite impostate male: piuttosto la personalità autoritaria della squadra vincente, che non ci sta a farsi rimontare e, attraverso una crescita progressiva e una significativa reazione agonistica, impone la propria superiorità tecnica e tattica. Il nuovo Napoli sembra fatto apposta per strapazzare le squadre piccole, attendiste e prudenti, quelle contro cui fino all’anno scorso si soffriva spesso. Bisognerà vederlo all’opera contro le grandi della Serie A.
La mano di Benitez si vede, e senza dover menzionare ancora il baricentro alto, c’è da sottolineare come il meccanismo d’attacco sia a tratti pirotecnico, unito ad una discreta disciplina tattica, pur macchiata da un quarto d’ora di gravi amnesie. Resta dubbia la scelta di preferire Britos a Cannavaro, dopo un precampionato in cui l’uruguaiano aveva già mostrato gravi incertezze, fino a ieri innocue e ieri quasi decisive. Resta acceso il campanello d’allarme sulla necessità eventuale di acquistare un nuovo centrale di difesa, a meno che non si voglia rischiare di puntare su Fernandez. Qualche carenza si è vista e andrebbe presa in considerazione prima della chiusura del mercato, dato che il tesoretto da spendere ancora c’è, e almeno due buchi da riempire in rosa ci sarebbero.
A cura di Lorenzo Licciardi
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