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Frustalupi è già grande

Chissà che un giorno, magari non lontanissimo, quel giovanotto, garbato e capace, non sieda su una panchina tutta sua. Del resto, questa è l’aspirazione di Nicolò Frustalupi, figlio dell’indimenticato Mario, trentasei anni, genovese di nascita ma toscano di adozione: una panchina tutta sua, anche quella del Napoli, perchè no. Poter guidare la stessa squadra che ha portato alla vittoria quattro volte su quattro da vice Mazzarri, questo sarebbe il sogno nel cassetto di Frustalupi. Non ama essere definito «allenatore portafortuna» per una ragione molto semplice. Studia e lavora da allenatore già da un po’; ha conseguito il patentino di seconda categoria per poter andare in panchina; è lui che viviseziona gli avversari di turno al videotape scoprendone i punti deboli e quelli di forza.  Insomma, Nicolò Frustalupi possiede tutti i numeri per percorrere le orme di Villas Boas (ex vice di Mourinho), Vilanova (ex vice di Guardiola), o Ciro Ferrara (vice di Lippi). Intanto continua a confrontarsi con Mazzarri, il tecnico che gli ha offerto la possibilità di trasformare una passione in lavoro, a carpirne i segreti, a memorizzarne i comportamenti nello spogliatoio ed in campo. E al momento non pensa neanche lontanamente di staccarsi dal suo maestro, da quel team che sembra un’orchestra e da Napoli dove ha incontrato anche una nuova compagna.

GLI INIZI – Frustalupi è cresciuto sin da piccolo a pane e pallone. Seguiva papà Mario, tra gli artefici dello scudetto alla Lazio e colonna della Sampdoria, agli allenamenti. Viveva ne suo mito ma lo perse troppo presto per metterne in pratica i suggerimenti. A 13 anni venne a trovarsi già senza la guida paterna. Ma il calcio ormai gli era entrato nelle vene. Cominciò a giocare da regista nei Dilettanti (il Poggibonsi, il Riccione) e poi approdò alla Pistoiese, dove il papà aveva chiuso la carriera. A 24 anni, però, fu costretto a smettere. Un brutto infortunio al ginocchio lo indusse ad interrompere l’attività agonistica. Gli sarebbe piaciuto fare l’arredatore ma il mondo del calcio l’attraeva troppo. Così iniziò ad occuparsi del marketing nel club arancione, a curare il sito-web, a fungere da osservatore. Finché un giorno non arrivò Mazzarri. Il tecnico di San Vincenzo intuì subito che quel ragazzo aveva qualcosa in più rispetto ad altri. Soprattutto competenza e occhio. Ogni relazione di Frustalupi sull’avversario di turno era così dettagliata da sembrare una radiografia. E l’anno dopo, Mazzarri lo volle con se anche a Livorno, sempre da osservatore. Quindi lo chiamò alla Reggina, dove ebbe modo di recarsi spesso all’estero per visionare giovani di talento. E solo dopo due anni venne chiamato a svolgere il ruolo di vice di allenatore. Tra l’altro la tesi di Mazzarri al corso di Coverciano aveva trattato proprio quello: i compiti ed il ruolo dell’ allenatore in seconda. E Frustalupi l’aveva fatta già sua, entrando in perfetta simbiosi con il tecnico.

LA GRATITUDINE – «Devo tutto a mister Mazzarri» , ripete il figlio dell’indimenticato Mario, un campione in campo e fuori, ancora oggi ricordato con tornei giovanili a lui dedicati, a Pistoia come ad Orvieto. Del papà, il giovane Frustalupi s’è portato dietro una certa somiglianza fisica ma soprattutto l’attaccamento al lavoro ed il rispetto altrui, rispetto peraltro ricambiato dai calciatori, che si chiamino Cavani o Insigne, il «Frusta» quando siede in panchina viene ascoltato in toto, come fosse Walter. E tra allenatore e vice è tale la sintonia che non serve il telefonino per comunicare, ormai la pensano alla stessa maniera.

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

A.S.

 

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