Roberto e Lorenzo è un concentrato di genuinità che se ne va spasso con i sogni, li alimenta a modo proprio, li asseconda attraverso l’istinto, li esalta caricandosi dentro, nel nucleo familiare, rimanendo fedele a quell’educazione rigorosa che evita voli pindarici e suggerisce di scavar la terra con le mani – in questo caso i piedi – perché poi c’è più gusto nel godersi la gloria.
PREDESTINATO. Lorenzino Insigne è a modo suo un predestinato per il quale sono entrati in contrapposizione dialettica Zeman e Benitez, uomini che si stimano sul serio e che hanno però espresso la loro personale (e differente) visione di quel geniaccio: però in entrambi, e attraverso il proprio modello di calcio, c’è la possibilità di educare, di plasmare quel funambolo a un’idea, qualunque essa sia, 4-3-3 o 4-2-3-1.
l’erede. Roberto è l’«erede» – per così dire – che deve combattere mica solo contro i difensori avversari ma anche contro quella malsana abitudine d’avere pregiudizi, di avvicinarsi ai fratellini minori con una cautela che a volte diviene caustica: ma in quest’altro Insigne c’è un altro «capolavoro» da valorizzare, da custodire con la pazienza che talvolta (?) l’ansia da risultato tritura.
Però, intanto, si cerchia d’azzurro (ma anche di amaranto, doverosamente) un 5 ottobre ch’è marchiato imperiosamen te da due amabili monelli del gol incapaci di frenarsi dinnanzi agli ostacoli (Lo renzo che non segnava e soffriva, Roberto che appena a gennaio s’è dovuto sottoporre a un intervento chirurgico e ha sofferto), anzi bulimici nel prendersi la scena e di concentrarla su se stessi, figliol prodighi d’un Sud che ha tesori nascosti ovunque e che adesso – e per un bel po’ – può goderseli, perché al Museo Moderno del calcio serve l’istinto naturale e quel pizzico di spavalderia degli Insigne. Poi chiamateli scugnizzi, ch’è un bel sentire.
RINNOVO. Qua la mano: perché stavolta che il peggio è una nuvola gonfia di nulla, vale ciò che Insigne e De Laurentiis si dissero tre mesi fa (al cospetto di Della Monica-Ottaviano-Andreotti, il management amico della Doa) in quel simbolico atto che rappresentava la firma – sulla parola – fino al 2019. Fu una promessa, strappata pizzicando le corde del cuore, per giocare d’anticipo, ed è un retroscena adesso che diviene fusione tra il Napoli e Insigne: «Dimmi che firmi ancora con noi». La cifra è un dettaglio che resta avvinghiato nel segreto, però c’è già la nuova data sulla scadenza (teorica) d’un amore che né il principe del Psg e né l’Arsenal per ora possono insidiare: perché tra gentiluomini, basta e avanza dirsi sì guardandosi negli occhi, evitando le procedure normali e persino la modulistica federale. Quelle sono le formalità successive.
LA BANDIERA. Però mica è stata una serata semplice e manco un lunedì normale, con il cellulare inondato dai messaggi e novanta minuti rivissuti in ogni fotogramma. Napoli-Torino è il tormento però, è innanzitutto l’estasi, è la sintesi di cosa sappia essere il calcio, perfidamente, diabolicamente esaltante: ti trascina dall’oblio di quel palo e di quella chance, che sono due gol «mangiati», all’euforia più smodata e però giustificata, sino a diventarla delirio collettivo. Uno a uno di testa – «ma chi l’avrebbe detto?» – e poi la parabola, quella che in genere cerca, per andare a pescare Callejon, per rimettere ordine in se stesso, nel San Paolo, nel Napoli. Per lanciarsi oltre: almeno sino al 2019.
CRESCE. Roberto il piccolo Insigne che si sta facendo grande. Allegro, estroverso, uno scugnizzo vero. Che fa simpatia. 17 gol in 25 partite con la Primavera. L’anno scorso una stagione maledetta a Perugia: tuffo in mare e spalla rotta, rientro in campo e frattura del quinto metatraso. Ora la Reggina. L’ha voluto Cozza. E Foti ha sprintato sul Mantova. Sei reti in campionato, il capocannoniere. Talento, forza e guizzo. E tiro: vede la porta. Ha una ventina di gol nei piedi. Robben del Bayern un modello di riferimento. Come Lorenzo.
affare di famiglia. Per gli Insigne il calcio è un affare di famiglia. Questione di DNA. Scientificamente dimostrabile, forse. Col cromosoma X, c’è anche l’1 e il 2: una schedina. Papà Carmine centrocampista della Casertana: allenatore Materazzi. Lorenzo è il “maggiore”. Marco e Antonio gli altri i fratelli che fanno gol tra i dilettanti.
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