“[…] In Italia nessuno si adegua, i guadagni arrivano ancora dalla vendita dei calciatori, credo che molte squadre falliranno prima o poi. Bisogna sviluppare il concetto di industrializzazione del calcio e i primi a capirlo devono essere i presidenti, è importante che diventino anche imprenditori […]”. Così parlava De Laurentiis qualche giorno fa alla Sede di Monte Sant’Angelo dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Non è la prima volta che il presidente azzurro riempie le sue parole con concetti che esulano dalla pura materia calcistica, o forse no vista la direzione in cui il calcio sta andando, c’è sempre più spazio per parole come “business plan”, “bilancio”, “plusvalenza”, “internazionalizzazione del marchio”, ormai nelle conferenze stampa quasi non si parla più di tattica e moduli ma ci si ritrova seduti in aule di economia a ragionar di bilanci. Allora tanto vale provare a capire, a studiare, da chi applica appieno questi concetti con discreto successo. Sorvolando su scambi inconcludenti in materia di stadio che da oltre un anno tifosi e addetti ai lavori sono costretti a subire da parte di sindaco e presidente proviamo a ripartire proprio da qui, dallo stadio, per comprendere come un marchio può essere venduto in giro per il mondo per aumentare gli introiti. A gennaio 2015 il primo club per fatturato era il Real Madrid con 549,5 milioni di euro, il Napoli “solo” sedicesimo con 164,8 milioni. In questi 384,7 milioni passa tutta la differenza tra due club che per ovvie ragioni non possono esser paragonati, sia per utenza (Madrid supera quasi di quattro volte Napoli per numero di abitanti) che per blasone del club, però si può prendere spunto, si può cercare di comprendere cosa nascondono quei 384,7 milioni di differenza e se c’è un modo per tentare di accorciare il gap, perché come detto, pensare di pareggiarlo oggi ma anche su una proiezione di dieci anni, è praticamente un’utopia.
La fábrica de los sueños La fabbrica dei sogni, altrimenti conosciuta come Estadio Santiago Bernabeu, la casa del Real Madrid. Per certi versi è il cuore di Madrid, non da un punto di vista geografico ma semplicemente perché riassume in pieno il concetto di “Madridismo” che oggi è tornato molto di moda con l’addio al calcio di Raul, metafora totale di questa ideologia. Uno dei problemi dello Stadio San Paolo non è certo il sentimento di “Napoletanità” che rappresenta in pieno, ma il fatto che viene effettivamente utilizzato solo il giorno della partita, tre volte più o meno in un mese. E’ ovvio che nelle condizioni in cui versa attualmente l’impianto di Fuorigrotta è impensabile un utilizzo in stile Bernabeu per 7 giorni su 7 ogni settimana anche perché non ha servizi da offrire. Definire “stadio” il Santiago Bernabeu è perfino riduttivo per quella che la struttura pensata dall’architetto Castell rappresenta oggi. Dalle 10:00 alle 19:00 al prezzo di 19 euro, tranne nei giorni della partita, è possibile effettuare un tour completo dello stadio, dall’impianto al terreno di gioco fino agli spogliatoi, passando per il Museo del Real Madrid, la vera fabbrica dei sogni per l’atmosfera di totale empatia che avvolge tutte le persone che lo visitano. Non bisogna per forza essere tifosi del Real Madrid per restare coinvolti e affascinati dalla magia di questo club e guardare da vicino le dieci Champions League esposte, i ricordi delle stelle di questa squadra, da Bernabeu a Di Stefano, passando per Raul, Zidane, Beckham e Ronaldo. E’ possibile riascoltare attraverso grammofoni digitali i rumori dello stadio e dei momenti più importanti della storia dei blancos e osservare in vetrina, a mo di reliquie, scarpette, trofei, palloni, tutti pezzi di un puzzle “Galacticos”.
Trademark Real Perché oltre lo stadio c’è molto altro. Fast Food, bar, ristoranti e centro commerciale, oltre allo store ufficiale e agli uffici del club. E’ possibile gustare tapas e cerveza, l’aperitivo classico di Madrid, con il terreno di gioco del Bernabeu sullo sfondo, mangiare un hamburger e sperare di incontrare dirigenti e allenatore, che di tanto in tanto passano per lo stadio, e sentirsi così per un giorno parte della famiglia blancos, che vanta oltre novanta mila soci che partecipano in modo più o meno diretto alle scelte societarie, votando il nome del presidente del club. Il fascino però si sposta qualche metro prima, allo store ufficiale del Real Madrid che assieme al marchio Adidas ha costruito un vero e proprio logo che copre ogni settore della vita degli ‘aficionados’. Dai biberon al settore scolastico, quaderni, diari, righe, penne, matite, zaini, abbigliamento e giochi, con i modellini in 3D da costruire del Santiago Bernabeu, il Subuteo ed il Monopoli, tutto targato Real Madrid. E’ un mercato mondiale che va di pari passo con la fama della squadra. Quello che sono i Lakers per Los Angeles nella NBA, il Real è diventato il simbolo di riconoscimento di Madrid e di una parte di Spagna. Il Barcellona ha dovuto puntare sui trofei conquistati per pareggiare il gap mediatico negli ultimi anni ed è assieme al Manchester United l’unico club al mondo che può accostarsi come forza economica al Real Madrid. Pensare di riproporre lo stesso modello a Napoli come detto è impossibile su una proiezione immediata, il Real Madrid è una marca prima di essere una squadra di calcio, è un prodotto d’esportazione, però si può provare a sviluppare e a far crescere il logo societario anche aprendosi a collaborazioni con multinazionali mondiali (Il Real oggi ha al suo fianco marchi come BWin, Microsoft, Coca Cola, Samsung, EA Sport, BBVA e Mahou) che possono favorire la diffusione del marchio.
Pensando a domani… All’inizio degli anni ’90 l’Italia si affacciava all’universo calcistico dalla finestra principale, il modello italiano era copiato ed invidiato e la Serie A era il campionato più importante al mondo. La Spagna ha letteralmente invertito le gerarchie trasformandosi da intrattenimento episodico a riferimento, non più semplice bel gioco fine a se stesso ma modelli vincenti, con riforme che partivano dalle scuole per arrivare agli stadi, con la costruzione giorno dopo giorno di una cultura sportiva di prim’ordine. L’Italia è rimasta ibernata a quel tempo, il problema è che gli altri sono andati avanti e continuano a pensare al domani con progetti di stadi all’avanguardia e nuovi contratti di sponsorizzazione per accumulare sempre più potere economico e politico nel panorama calcistico mondiale. Ecco che l’Atletico Madrid sta per dire addio allo storico Vicente Calderon per trasferirsi al nuovo Stadio Olimpico di Madrid, firmando un contratto di sponsorizzazione con una nazione intera, l’Azerbaijan. Il Barcellona ha pronto il progetto d’ampliamento del Camp Nou (da 98mila a 105mila posti, un trend totalmente inverso a quello italiano dove si diminuisce la capienza degli stadi) e ha firmato un contratto di sponsorizzazione con la compagnia aerea Qatar Airways. Il Real Madrid non sta a guardare e con la Microsoft ha firmato un accordo per la sponsorizzazione del restyling del Santiago Bernabeu, che si trasformerà in un impianto futuristico di cui è già pronto il progetto.
La compagnia americana fornisce inoltre pc e software di ultima generazione al Real Madrid. Insomma, mentre in Italia si è costretti a subire continui teatrini tra presidenti e politici, che s’inseguono nel non prendersi responsabilità su decisioni rischiose che possono risultare a volte anche impopolari, negli altri paesi si investe, si rischia puntando alla crescita, mettendo anche da parte la storia per adeguarsi al tempo che corre inesorabilmente in avanti e che non dà spazio a catene burocratiche che non fanno altre che danneggiare principalmente una sola componente, i tifosi.
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Dal nostro inviato a Madrid Andrea Cardone.
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