Erano arrivati in dieci, sabato intorno alle 18. In dieci, con due auto, direttamente da Napoli. Nulla faceva presagire la tragedia per un gruppo consolidato di tifosi azzurri in trasferta. Domenico Pinto, 30 anni, come il cugino Ciro Esposito, il ragazzo ferito prima della finale di Coppa Italia, ha la sua versione dell’aggressione che in gran parte coincide con la ricostruzione fatta dagli inquirenti. «Eppure» spiega nella lunga attesa davanti al pronto soccorso del Policlinico Gemelli «nessuno mi ha finora ascoltato». È un testimone diretto, Domenico. Faccia asciutta, in testa, sui capelli cortissimi, un cappellino del Barcellona, negli occhi ancora tutto il terrore di quella sequenza folle di Saxa Rubra. «Quando ho visto Ciro a terra, colpito» rievoca «mi sono avvicinato. ”Ciro, Ciro, stai bene? Ciro, rispondi”. Non si capiva dove fosse stato ferito. Aveva una mano insanguinata. ”Mi hanno sparato al petto, mi hanno sparato al petto” ha avuto il tempo di sussurrare e poi è svenuto. A quel punto ho cominciato a chiamare aiuto. Ma mio cugino è rimasto a terra per un tempo interminabile. Abbiamo cercato di rianimarlo, alla fine è arrivata l’ambulanza, ma Ciro non dava segni di vita, aveva perso troppo sangue». A Domenico le parole si spezzano in gola. Quasi non ha la forza di ripercorrere quegli attimi. «Eravamo partiti con largo anticipo» continua riacquistando lucidità. «Il solito gruppo di amici che segue le trasferte. Abbiamo parcheggiato, seguendo i percorsi obbligati, e ci stavamo avviando a piedi verso l’Olimpico. Doveva essere una festa. Avevamo portato anche casatielli, che aveva preparato proprio Ciro, e frittate di maccheroni. Camminando camminando li mangiavamo. Si stava in allegria». Poi, l’irreparabile. «Da un circolo, un vivaio, un parco, non so bene cosa sia, è spuntato un energumeno. Non capivamo neanche chi fosse, poi abbiamo saputo che un ultras romanista, Daniele De Santis. Ha cominciato a lanciare petardi contro di noi e a prenderci in giro. Abbiamo reagito, inseguendolo. Che dovevamo fare? Lui è scivolato e a questo punto ha tirato fuori una pistola e ha sparato quattro colpi. Al quinto, l’arma s’è inceppata». Sono stati feriti in tre, il più grave Ciro. Anche l’aggressore è rimasto ferito. «Ma si è colpito da solo»: Domenico non ha dubbi. Appena ci si è resi conto delle condizioni di Ciro è stata chiamata un’ambulanza. «Ma che non veniva mai. Sarà passata un’ora e mezza» rievoca Domenico. «E quando è arrivata non mi hanno voluto far entrare per accompagnare mio cugino. Non sapevo neanche dove lo portavano. Quando sono riuscito a saperlo mi sono diretto all’ospedale, Villa San Pietro, con un mezzo pubblico, con il 301». Nessuno aveva avvertito la famiglia. «L’ho fatto io. Fornendo le poche informazioni che avevo, e mio zio si è subito precipitato a Roma. Abbiamo fatto tutto da soli. E mai possibile? In un paese civile, no». Le sue considerazioni sembrano cadere nel vuoto. È uno sfogo, una richiesta di attenzione, di aiuto e anche una forma di rivolta contro un dramma assurdo nel quale sembrano precipitati quei ragazzi di Scampia che volevano vedere Hamsik alzare il trofeo di una stagione.
Fonte: Il Mattino
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