Quasi come vedere Mourinho sulla panchina del Barcellona che conquista il popolo catalano. E’ riuscito ad imporsi anche a Londra, Rafa Benitez. Lui, l’uomo adottato da Liverpool, colui che, pur spagnolo, ha ancora la famiglia fuori città perché lì gli è rimasto il cuore, lo “Spanish Scouser” (“scouse” è il termine usato per i cittadini di Liverpool e forse vi è una coincidenza cosmica che non è lontanissimo da “scugnizzo”) per eccellenza.
Pochi ci avrebbero scommesso. Sembrava l’ennesimo volo di fantasia autolesionistico di Roman Abramovich. I fatti risalgono allo scorso novembre. Benitez, a spasso da quasi due anni, viene chiamato a sostituire Di Matteo sulla panchina del Chelsea campione d’Europa. Più che una scommessa, sembra una follia. I tifosi dei Blues lo odiano, un po’ per la feroce rivalità con il Liverpool, un po’ per alcune frasi infelici di Rafa, un po’ per il fatto che è completamente inviso a Jose Mourinho, il loro idolo. La squadra è già in subbuglio, la società è un nido di vipere, lo spogliatoio è diviso. E, per giunta, gli viene offerto un contratto solo fino al termine della stagione. Proprio a lui che ama pianificare, progettare, avere il controllo totale della situazione. Viene accolto da insulti e striscioni (insoliti negli stadi inglesi, ma tanto è l’odio nei suoi confronti). «Non sarai mai uno di noi» è l’epiteto più gentile nei suoi confronti. Ma lui, come è solito fare, va avanti a testa bassa. Sa che solo con il lavoro e i risultati potrà conquistarli. E così è. Non rivoluziona il Chelsea, ma lo ritocca e gli da la giusta solidità tattica. I Blues vanno in Giappone e vincono il Mondiale per club. Retrocessi in Europa League prima del suo arrivo, marciano spediti in Europa, fino alla finale dove superano il Benfica. Arrivano in semifinale sia in Coppa di Lega che in Coppa d’Inghilterra, confermando che, nei tornei ad eliminazione, Benitez è una garanzia.
L’addio – ampiamente annunciato – arriva a fine stagione. Più che amore, con il popolo dei Blues sboccia rispetto. Grande rispetto per un uomo che è – soprattutto – un professionista. Sei mesi, due trofei, due semifinali, un terzo posto mantenuto in campionato. Una garanzia, appunto. Londra non sarà mai la sua città. Sarà sempre dietro a Liverpool, Madrid e – forse un giorno – Napoli. Ma la soddisfazione di essere sceso nella capitale ed avere conquistato con i fatti un pubblico ed una città che lo odiavano non gliela toglierà nessuno.
Fonte: Corriere dello Sport.
La Redazione.
D.G.
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