Frattamaggiore è uno schizzo della memoria, un passato da rivivere nel silenzio (e nel dolore) d’una serata struggente, surreale: però ritrovarsi con se stesso, ripartire dall’infanzia, dai campetti costruiti sulle mattonelle, dalle porte allestite con i libri di scuola, è un passaggio obbligato. «E’ tutto così strano…». E’ la notte d’uno scugnizzo cresciuto lanciandosi con la fantasia in quei sogni inevitabili: e nei dribbling, nelle veroniche, nella finte, nei guizzi, nei lampi, neglio occhi, c’era una serata del genere, da attraversare con la fierezza di chi l’ha inseguita partendo dal basso. «Non so cosa dirvi: vincere con la maglia del Napoli è speciale e questa è la gioia più grande della mia carriera». C’è il suo mondo che sta scivolando adesso: i sacrifici di papà Carmine e di mamma Patrizia, il segreto d’una famiglia in cui il pallone è il cuscino sul quale adagiarsi, aspettando che qualcosa accada, che il genio emerga dall’oscurità della provincia ed atterri, magari al san Paolo e poi all’Olimpico, e poi ovunque ci sia calcio. «E’ stata un’emozione troppo grande, pur nel contesto di una giornata stranissima. Questa coppa va al tifoso ferito che è in ospedale e preghiamo per lui. E poi un pensiero alla mia famiglia, a mia moglie e a mio figlio: è un successo che va a loro» . C’è un cuore in subbuglio, scosso dall’eco di quelle voci che sono arrivate sin dentro il ventre d’uno stadio paralizzato, scosso, devastato. E c’è poi il senso di un’impresa sportiva che s’è compiuta e nella quale c’è Insigne, un magnifico Lorenzo, con il suo destro a girare, con il suo sinistro fatato.
MAESTRI. Dove se non in una finale, in un’ora e mezza così sofferente, con la malinconia che acceca e farebbe venir voglia d’andar via, e il richiamo al dovere, alle origini, che riemerge? Eccola lì la Coppa Italia, c’è il marchio di fabbrica di chi l’ha accarezzata, l’ha inseguita, di chi stavolta s’è scrollato da dosso ogni timore ed ha (ri)cominciato a trovar se stesso, mentre dall’alto d’una tribuna sontuosamente rappresentata, l’osservano Prandelli e Zeman. E certo che sì, gli dei hanno scelto che Insigne risplendesse proprio per loro, per un Ct al quale deve il debutto in Nazionale e con il quale vorrebbe andarsene in Brasile («Gli mando messaggi con il sacrificio») , per quell’allenatore che l’ha preso bambino, se l’è portato a Foggia e poi a Pescara.
STORDIMENTO. Ma la gioia pare quasi una appropriazione indebita, mentre Napoli è scioccata perché non sa ancora cosa sia realmente successo fuori dal campo, in quella che doveva avere i connotati d’un Evento ed invece s’è trasformato in un tragico happening. E il calcio, in quello scenario disorientato, sottrae i pensieri, cancella l’euforia, la tiene rinchiusa in un recinto di pudore che Lorenzino Insigne scavalca con ritrosia, evitando di raccontarsi a caldo e sussurrando «ch’è stato bello» . E però anche un po’ triste.
PRINCIPE AZZURRO. Ma ci sono date che restano scolpite nella pietra e dunque diventano incaccellabili e c’è un altro napoletano con quella coppa alzata: dopo Antonio Juliano, dopo Paolo Cannavaro, dopo i tormenti d’una stagione divenuta contraddittoria, perché s’era alzato pure il dissenso per la ricerca (quasi) monotematica dell’aggiramento dell’avversario e del pallone ad effetto sul palo lontano, tocca a Lorenzo Insigne, al quale è capitato di ritrovarsi proprio nelle condizioni che gli piacevano così tanto quando si rigirava tra le lenzuola per immaginare cosa avrebbe desiderato di più. Era quella l’immagine ricorrente: lui a sinistra a correre al fianco di Hamsik, che intanto gli suggeriva di insistere, di aspettare che piombasse su di lui quella sfera anche un po’ magica e quando ha avvertito scoccare l’istinto famelico però anche assai illuminante, ha riavvolto Insigne è l’ha catapultato nella Storia.
Fonte: Corriere dello Sport
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