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Fiorentina-Napoli, il derby spagnolo. Da Borja Valero a Reina, quanti iberici in campo

C’era una volta la Spagna che in Italia non funzionava: dopo il Pallone d’Oro Luis Suarez – quello che accarezzava la palla, non quello di oggi che addenta i rivali – troppi tentativi erano andati a vuoto, da Mendieta al Portillo di memoria viola, tanto che le nostre squadre avevano smesso di guardare al di là del mare. Invece da due anni qualcosa è cambiato: la Fiorentina è entrata a piè pari nella Liga portando via tra gli altri uno dei migliori giocatori sbarcati nelle ultime stagioni in Italia, Borja Valero; il Napoli l’ha seguita quest’anno vestendo di spagnolo la panchina e il campo. Stasera si moltiplicheranno incroci e ricordi, il blocco Villarreal viola che sfida il blocco Real azzurro, Macià che ritrova Benitez… Al Franchi si parla spagnolo…

Tanti spagnoli così, impegnati in tutti i settori, non s’erano visti mai. Tanti spagnoli… così fiorentini, innamorati della città e dell’avventura abbracciata.. C’è Eduardo Macia, voluto fortemente da Pantaleo Corvino nella parte finale del suo settennato, cresciuto nel Valencia e diventato un guru sul mercato tra Spagna, Inghilterra, Grecia e, ora, Italia.
A TU PER TU CON RAFA Il dirigente viola ha lavorato per anni col tecnico del Napoli. «Quella volta ad Atene che…»- Lui Rafa Benitez lo conosce da vicino: «Tanti anni insieme ti permettono
di avere ricordi importanti, tanto a livello professionale come personale, perché il bilancio e’ sempre molto positivo. Era un rapporto che andava oltre a quello professionale. Ricordo quella lunghissima passeggiata per le strade del quartiere dove era il nostro albergo fino all’ora di colazione, dopo la finale di Champions persa ad Atene contro il Milan. Abbiamo parlato fitto continuando a camminare per la strada su come migliorare e andare avanti quando tutto il mondo, dirigenza, calciatori e tifosi erano “morti” per la delusione della sconfitta. Questo era il nostro modo comune di affrontare le situazioni».
Benitez e Montella a suo dire si somigliano: «La sua capacità, preparazione e la voglia di vincere sono le sue qualità più preziose. E’ molto didattico con il calciatore, ha idee di calcio diverse dal solito. In Montella rivedo queste qualità: capacità, preparazione e ambizione di crescita. continuando così diventerà anche lui un vincente».
Tra gli spagnoli c’è pure Alejandro Rosalen Lopez, preparatore dei portieri che dopo un’avventura nelle giovanili del Valencia è volato in Ungheria, al Videoton e poi si è ritenuto potesse dare un contributo importante allo staff di Vincenzo Montella. Il primo ad arrivare, e pure il primo a sfatare il tabù che voleva gli iberici restii a diventare protagonisti in Serie A, è stato Borja Valero. Ha conquistato Firenze dal campo, con il sudore e le sue giocate da ingegnere del suo reparto. Hanno seguito il suo esempio Marcos Alonso e Joaquin, il torero, che hanno trasformato Firenze in un’arena con energia, entusiasmo e la giusta dose d’allegria.

Nascita ed espansione della dominazione spagnola, un impero calcistico allungatosi sino a Napoli: per cambiarla, per adeguarla ai tempi, per prendersi il meglio d’un macrocosmo che s’è preso già tutto – gli Europei, i Mondiali – e che altro ancora ha conquistato, attraverso il suo figliol prodigo errante. Vedi Napoli e ripensi a Benitez, alla sua cultura espansionistica che s’è intrufolato Il tecnico ha portato in Campania una piccola colonia di connazionali Per vincere subito- e in che modo – a Liverpool, al Chelsea ma, perché no?, pure
all’Inter, dopo aver pasteggiato in Liga, dunque nel giardino di casa, con Valencia: ora c’è la sua impronta, c’è la sua grafia non solo negli schemi, ma nell’identikit strutturale d’un club e d’una squadra che gli appartiene e che ne è immagine e somiglianza. Benitez è un’azienda che muove uomini, che produce interessi intorno a sé, perché materia di studio in passato e ora anche di annotazioni su un calcio costruito attraverso la psicologia e una metodologia di lavoro ch’è diversa – non tanto, ma lo è – e che comunque rompe i luoghi comuni e abbatte pregiudizi. Lo staff è di chiaro stampo iberico – e non poteva essere diversamente – e però integrato, perché non ci siano frontiere né preclusioni di sorta, dall’italianissimo e verrebbe da dire dal napoletanissimo Fabio Pecchia, il ponte sul futuro che arriva dal passato, dalle proprie conoscenze d’un ambiente singolare. Il resto è affidato al campo, alla spina dorsale d’una squadra che s’allunga dalle mani di Pep Reina, mica un portiere qualsiasi, una sorta di guru tra i pali, una autorevolezza (e pure un’autorità per come si muove, per la sicurezza che trasmette, per quella sua personalità spiccata) alla quale è stato concessa in dote la responsabilità di guardare le spalle al Napoli, ben conoscendo le abitudini di Benitez. Ma la Spagna partenopea è anche – in certi momenti soprattutto – in Raul Albiol, il leader cresciuto all’ombra dei miti del Real e pure delle furie rosse che hanno razziato ovunque: un’entità concreta, regista difensivo in grado di sfidare con la sciabola e con il fioretto, le armi di José Maria Callejon, un folletto che ti cambia la partita e l’umore con uno scatto, una intuizione, una veronica. Il Regno di Napoli è (anche) loro

Fonte: Corriere dello Sport

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