TRIS. L’asso è lui, ci mancherebbe, e non solo per quel ch’è costato, ma per ciò che vale tecnicamente, per la sua statura, per la capacità di far reparto da solo, per l’autorevolezza che tracima da ogni poro, per quella faccia da simpatica canaglia che lo elegge a leader quando si mette ad arringare i compagni per tirarli fuori dalle paure. C’è un Higuain squisitamente italiano, quello che in serie A deve rompere il ghiaccio e adesso punta dritto sull’Inter; poi ce n’è un altro, ma è sempre lo stesso, che sempre vestito da principe azzurro sa come coccolare il suo Napoli: l’illusione con l’Athletic Bilbao, ad esempio; o anche la scudisciata contro lo Sparta Praga e poi il colpo di testa, quarantasette secondi dopo essere entrato in campo, a Bratislava. Uno, due, tre volte Higuain, incurante delle difficoltà che incontra il suo sosia quando si giochi il campionato.
BENESSERE. La Nazionale poi è un toccasana, dà corposità alla autostima, la rende solida, perché consente a “el Pipita” di sentirsi vivo, enorme: lui e Messi – ma anche Gaitan e nel suo piccolo Banega – si scatenano, ne fanno sette alla selezione di Hong Kong, certo non irresistibile, rimuovono quel velo di malinconia passeggera (ognuno ne ha per sé) e poi procedono dritti verso casa. Higuain ha una missione specialissima, una sorta di patto da sottoscrivere con quella Napoli che girellando senza frontiere, ha inviato segnali incoraggianti – è tornato Hamsik – anche se contro la Bielorussia – e Mertens – vabbè era Andorra – ha ripreso confidenza con il gol. Ma soprattutto, aspettando la notte di San Siro e la magia, ha scoperto che il dottor Jekill o mister Hide non hanno dimenticato…
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