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Ferlaino su Maradona: “Era spiato solo da noi, così lo tutelavamo da ogni possibile tentazione della città”

"Noi non facevamo alcuna invasione nella vita privata dei calciatori"

I colleghi del quotidiano “Il Mattino” hanno intervistato l’ex presidente azzurro Corrado Ferlaino,

Ingegnere Ferlaino, il Napoli faceva pedinare Maradona?
«Assolutamente no, la domanda è sbagliata».
Ci dica allora direttamente la risposta.
«Il Napoli pedinava Maradona».
Scusi, non è la stessa cosa?
«No, perché la società della quale ero presidente non ha mai dato alcun incarico ufficiale a estranei di controllare i nostri calciatori».
E chi li spiava?
«I miei dirigenti. Ricordo che ai tempi di Diego c’era il caro Dino Celentano al quale avevo chiesto di tenere d’occhio i giocatori più vispi, in particolare quelli che non erano sposati. Oltre a Maradona, naturalmente».
Eravate dirigenti, non investigatori. Come si pedinava un elemento come Maradona?
«Si sa che Napoli è una città tentacolare, soprattutto per gli sportivi di un certo livello. E si sa anche quali sono i punti di ritrovo più frequentati in città: night, ristoranti, club, discoteche, più o meno il giro è quello, non viviamo in una metropoli con cinque milioni di abitanti».
Possibile che quel dirigente da lei incaricato, abbia incaricato a sua volta una persona estranea alla società?
«Probabile, se è accaduta una cosa del genere, è stato a mia insaputa».
Cosa le raccontava Celentano quando era sulle tracce di Maradona?
«Venivo a conoscenza delle sue abitudini, in particolari i giorni e gli orari in cui usciva. Va detto, e questo lo sapete tutti, che durante tutta la sua permanenza a Napoli, Diego poteva allontanarsi da casa soltanto di notte».
Oggi sarebbe stato impossibile con tutta questa difesa a oltranza della privacy.
«Noi non facevamo alcuna invasione nella vita privata dei calciatori, non li obbligavamo a restare in casa, né tantomeno imponevamo loro locali da frequentare al posto di altri».
Vabbè, in fin dei conti li controllavate.
«Maradona era il più grande calciatore del mondo, rappresentava un patrimonio inestimabile per il Napoli. In qualche maniera, dovevo pur difendere e tutelare questo patrimonio».
Le abitudini di quel Napoli erano diventati il segreto di Pulcinella.
«Credetemi, non era assolutamente facile gestire Diego e i suoi compagni, che erano diventati gli eroi della città dopo la conquista del primo scudetto. Lo sa, no, come vanno queste cose? Fin quando vinci, la gente è complice, poi all’improvviso tutto si capovolge e allora sì che iniziano i veri problemi».
La complicità con Diego e con la squadra precipitò in quella maledetta primavera dell’88?
«Sicuro. Ancora adesso non conosco la ragione per la quale abbiamo perso lo scudetto».
I sospetti erano sulla bocca di tutti.
«Si parlò di totonero e di camorra, in quindici giorni ci ritrovammo dal vincere il secondo tricolore a tutto quel caos. È vero, le voci si erano fatte insistenti, in poche settimane ci crollò il mondo addosso».
Certe abitudini e certe frequentazioni non erano sconosciute: perché lei non intervenne direttamente?
«Lo ripeto, non potevo imporre alcuna decisione forzata ai giocatori. I miei interlocutori erano le istituzioni, calcistiche e non».
La Questura innanzitutto, immaginiamo.
«Ovvio. Avevamo un ottimo rapporto con le forze dell’ordine, anzi spesso erano loro a metterci in guardia su alcuni pericolI incombenti».
Ad esempio?
«In quegli anni le scommesse non erano state legalizzate, capitava che a volte venissero registrati flussi di giocate anomale su partite che in teoria erano facili da vincere. Oppure il tam-tam di voci era così frequente da far immaginare che sotto ci fosse puzza di bruciato. Era in questi casi che il sottoscritto interveniva in maniera decisa e diretta».
In che modo?
«Quando avevo paura di una gara, entravo nello spogliatoio e promettevo al capitano premio doppio a tutta la squadra. Anzi, per far capire quanto tenessi a quella vittoria e a quel match, il premio doppio dopo qualche minuto diventava triplo».
E con le istituzioni calcistiche, invece?
«Allora il presidente della Federcalcio era Carraro, io mi feci eleggere consigliere federale per entrare nel Palazzo e garantire al Napoli un peso politico che fino ad allora non aveva mai avuto. Feci aprire gli occhi a Carraro sul fenomeno delle scommesse. Forse pochi di voi lo ricordano ma la prima norma emanata dalla Figc contro il cosiddetto totonero, prese spunto proprio da una mia denuncia».
Pentito o rifarebbe pedinare ancora Diego?
«Per amore del Napoli ho fatto qualsiasi cosa. Penso che lo rifarei».

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