NAPOLI – Trentacinquemila: con il nasino all’ingiù e però la cresta alta, perché in quest’estate da mille e una notte Napoli-Benfica è un’amichevole ma tra quindici giorni si farà sul serio, ci sarà il campionato e poi si comincerà ad intravedere persino la Champions, se ne ascolterà il profumo almeno. Trentacinquemila: che non tanti, non i sessantamila che si presentarono con il Galatasaray, ma neanche pochi, con la crisi che incombe, il paniere che implora e l’afa che implacabile. Si gioca e parte lo show: a cielo aperto, tra le note de ‘O surdato ‘nnammurato – rivisitato in chiave moderna, versione inno ufficiale – e le cheerleaders in stile hollywodiano che rappresentano una novità assoluta per il football italiano.
SI SALPA – Si chiama Msc Cup, in ossequio ad uno sponsor, e serve a Benitez per tracciare la rotta, per avere ulteriori indizi, per svelare un altro po’ di Napoli o per vararlo, fate un po’ voi, attraverso un mite turn-over che però sa di investitura: se le casacchine della vigilia hanno già un valore (ma ce l’hanno?), si riparte con Cannavaro in panchina – come nella seconda dell’Emirates – e con Albiol in mezzo alla propria area, dinnanzi a Reina e al fianco di Britos. Però a questo servono le amichevoli, per farsi una idea nuova o magari per riafforarne alcune vecchie: perché pure Maggio, ad esempio, è destinato a cominciare da spettatore e pure Mertens; però Higuain no e neppure Hamsik e men che meno Insigne, nella interpretazione moderna dei tre nuovi tenori.
CHE NUMERI – Alla fine, i conti torneranno sempre: perché i trentacinquemila del san Paolo, sommati a chi li ha preceduti nella prima contro il Galatasaray, avvicinano già la rispettabile cifre di centomila (crica) spettatori, la solita – ormai onda anomala che rappresenta la certezza su cui contare, persino in momenti di carestia e con un calcio da laboratorio. I centoquaranta caratteri della comunicazione moderna, quella che passa attraverso un cinguettio, arringano la folla (« Venite tutti, non ve ne pentirete»): ma prim’ancora che per il 4-2-3-1, per ciò che riserva la scenografia d’una notte di mezz’estate da attraversare con gli occhi spalancati per lasciarsi contagiare dall’euforia. C’è Reina e pure Zuniga – almeno così sembra – e dunque c’è un tormentone da svelare, chissà quanto e se a passo di danza come con i turchi; c’è Callejon e c’è quell’uomo strappato al Santiago Bernabeu per infiammare Napoli e aiutarla a compensare il rimpianto di Cavani che aleggia (umanamente) intorno a quelle aree di rigore: ci sono, insomma, i connotati di una partita contro un Benfica che ha gamba e anche autorevolezza e spessore per aiutare a comprendere cosa ancora serva, eventualmente.
ARRIVEDERCI – E’ anche (probabilmente) l’ultima a Fuorigrotta prima del calcio autentico che verrà: all’orizzonte c’è il Cesena (il 14 in casa sua) e un test per il 18 (forse a Latina), dunque ripassata al modulo-Benitez e alle abitudini d’un calcio un po’ spagnolo e assai internazionale, che però va memorizzato attraverso sedute (d’allenamento) che incidono e possono pesare nei muscoli e nella testa. Però bisogna aggiornarsi, rivedere Mertens e magari anche Inler – al quale può essere concessa di nuovo la bacchetta di direttore d’orchestra, comunque intrufolarsi nei meccanismi d’un señor della panchina che s’è subito impossessato del ruolo e che ha trasmesso sicurezza e leggerezza, un pizzico di ironia impregnata anche d’una dose d’empatia. Trentacinquemila e le cheerleaders: c’è gente e c’è ritmo al san Paolo.
La Redazione
G.D.
Fonte: Corriere dello Sport
/p
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