Messi, Cristiano Ronaldo o Ibrahimovic? «Beh, passatemi la battuta… ma pure Messi, sia pure per una questione di altezza, mi pare arrivi solo al ginocchio di Cavani». L’uomo giusto per immaginare il destino del Matador non può che essere Gigi Riva. Rombo di Tuono sì che se ne intende: è probabilmente il più grande attaccante italiano, 289 partite in serie A (tutte con il Cagliari) e 156 reti, 35 gol in Nazionale (in 42 partite, media 0,833), un record che resiste ancora. Tredici gol. In 13 partite. La macchina da gol di Edinson Roberto Cavani Gomez, anni 25, non si ferma mai, come i suoi piedi da ballerino di tip-tap per festeggiare una rete: le ultime quattro prodezze, giovedì contro il Dnipro, lo consacrano tra gli alieni del calcio europeo. Marek Hamsik e Paolo Cannavaro lo hanno stuzzicato: «Oltre al pallone, poteva portare a casa pure la porta», ha scherzato lo slovacco. Il capitano ha persino rincarato la dose: «Avrebbe meritato anche la bandierina del San Paolo, anzi ora la prendo e gliela regalo io».
Il Matador, invece, nelle testa aveva ben altro. Né i «regali» dei suoi due compagni e neppure il suo poker da favola della sera prima: pensava a organizzare con l’amico Britos, suo connazionale, una battuta di pesca. «Dai andiamo, prendiamo una barca e organizziamo». La vecchia passione ereditata dal papà, la pesca col mulinello che appena può lo porta nel golfo di Napoli, tra Ischia e Procida, lontano da tutto e da tutti. Niente da fare: la giornata di venerdì, il giorno dopo la supersfida con gli ucraini, l’ha dovuta passare a fare terapie e massaggi, a causa di una ginocchiata a una coscia rimediata nel primo tempo. «Nessuna paura, domani giocherò. Non mi fermo certo adesso», ha risposto ai tanti fans che volevano essere rassicurati.
Se il Napoli fa paura, Cavani mette i brividi. Già, perché Edi sta agli azzurri come Michael Jackson ai Jackson Five. O come un altro Michael, Jordan, ai Chicago Bulls. La superstar e la band di contorno. I tifosi accorrono a Castelvolturno per vedere e salutare gli azzurri, ma in realtà sono tutti lì per Cavani. Gli altri, semplicemente brillano di luce riflessa. Un po’ come accade per Messi e il Barça.
L’alieno del calcio fa impazzire Napoli. A via Tasso, nel tardo pomeriggio, la citycar dell’uruguaiano è sgusciata lontano dalle mani protese dei tanti tifosi che lo hanno atteso fuori dal parco dove si è trasferito da un po’ di mesi. Edinson Cavani diventa un feticcio da raggiungere. È il quinto cannoniere della storia del Napoli: sbriciola alla velocità del vento ogni primato. Ci ha messo poco più di due anni e una manciata di mesi, per raggiungere e superare un mito, Beppe Savoldi e ha messo nel mirino Careca, distante 16 gol che – se andrà avanti a questo ritmo indiavolato – potrebbe scavalcare già il prossimo marzo. «Piano piano prendo lui e pure Maradona», dice scherzando, ma non troppo, il Matador.
Vedere Cavani in campo con il Dnipro è stata una lunga, intensa, indimenticabile esperienza perché Edi ha giocato una partita su di un’altra dimensione, usando gli undici attori non protagonisti a volte come birilli, altre come sponda. Posseduto quasi da un piano diabolico.
Era la sua serata, la sua partita, il suo pallone e lo stadio ideale, il suo San Paolo, per un’impresa che passa alla storia. Quattro gol sono tanti, un’enormità. In più gli ucraini non erano proprio le belle statuine. Hanno difeso, i ragazzi di Ramos. Anzi, no, ci hanno provato. Ma niente. Perché il Matador era in missione per conto del dio del calcio. Il diretto interessato ci ride su: «Macché, il Napoli non dipende da me, ognuno fa il suo dovere. E per questo Juve e Inter non possono stare tranquilli», ripete sornione.
Domani incrocia parte del suo passato, un pezzo dei suoi ricordi più dolci. Il nuovo ds del Genoa è Rino Foschi, colui che pur di portarlo a Palermo lo ha tenuto nascosto per due giorni in una stanza di hotel a Milano per timore che l’Inter di Mancini glielo scippasse. Per provarlo a fermarlo, il direttore sportivo si affida ai sentimenti: «Non ha rivali né in campo né fuori. Un esempio, per come si allena, per come vive, per come mangia: se giocava nel Barcellona, vincerebbe il Pallone d’oro». Poi ammette, scherzando, che l’unica cosa che gli manca è la gratitudine. «Che dire: l’ho portato in Italia, ma due anni dopo quando io ero al Torino ma con un suo gol il Palermo vinse per 1-0. E con i granata sono retrocesso in B proprio per un punto. Uno come lui, davanti a una porta è spietato». Zamparini quasi si scioglie in lacrime. «Cavani è un indio vero. Ho visto la partita e mi commuovevo a vedere tanta generosità, tanta forza».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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