Parla alla Redazione de “Il Corriere dello Sport” l’ex calciatore di Napoli, Juve, Inter e Parma Fabio Cannavaro sul momento degli azzurri.
E allora, Cannavaro, come va la vita senza un pallone da rincorrere e un avversario da tenere a bada?
«Sinceramente? Non è male. Il calcio, quello giocato non mi manca molto. Forse perché, seppure in un altro modo, ci sono sempre dentro. O forse perché me ne sono staccato un po’ alla volta. L’ultima stagione a Dubai, all’Alahli, mi è servita per un addio senza pressioni. E poi, la verità?, dopo vent’anni sempre ai massimi livelli e dopo ottocento e più partite, con precisione non so neppure quante, era venuto il momento di mettere il punto alla mia carriera. Ma senza rimpianti. Anzi, con tanto orgoglio e soddisfazione».
Addio campo, però il lavoro non le manca.
«Non mi manca. Anche se, a dire il vero, in questo momento sono in spiaggia, a Dubai, vicino casa. Con me c’è Patrick Vieira, amico mio e oggi responsabile delle giovanili e “ministro degli esteri” del Manchester City. Ieri, invece, c’è stato mister Lippi a casa mia. Appena posso vengo al mare, ma era da un po’ che non mi riusciva. Sa nell’ultimo mese e mezzo quante ore di volo ho messo assieme? Centocinquanta».
Per andare dove?
«Ho girato parecchio: Australia, Indonesia, Singapore. Ed Europa, ovviamente. Ma non mi lamento. Quello che sto facendo è interessante, stimolante. Il confronto con nuove realtà e nuovi mercati del calcio mi sta aiutando a crescere come dirigente, come manager».
Ma qual è il suo ruolo all’Alahli? Consigliere tecnico del presidente-sceicco Abdullah Saeedal Naboodah?
«Noi diremmo: uomo immagine. Il calcio degli Emirati ha bisogno di farsi conoscere e il presidente ha voluto che l’Alahli lo rappresentassi io nel mondo».
L’idea comune è che gli sceicchi coprano d’oro chi va da loro a fare calcio.
«Lo so. Si pensa e si dice che chi lascia tutto e viene qui lo fa per soldi e basta. L’hanno detto anche per me. Ma è un’idea sbagliata. Il calcio degli Emirati non è un circo. Qui non si pagano dieci, quindici milioni per un calciatore. Qui i campioni, i fuoriclasse non guadagnano più di due milioni di dollari a stagione e gli stipendi medi non superano i duecento-trecentomila dollari. Molto al di sotto, quindi, degli standard europei e spesso anche italiani».
Non per soldi, dunque. E allora per che cosa Fabio Cannavaro sta a Dubai?
«Perché questa per il calcio è una frontiera nuova. Qui c’è da costruire, da creare un nuovo calcio e ci sono voglia, idee e risorse per farlo. E’ una sfida affascinante. Un’avventura con la quale vale la pena misurarsi».
Capito: è da quelle parti che si sta disegnando il futuro del pallone. E chi cerca nuove idee, nuove frontiere, nuovi mercati non può fare a meno di confrontarsi con gli Emirati o capire quel che sta accadendo in Asia. Giusto?
«Giusto. Ma bisogna fare in fretta. Lo dico ai club italiani. Nel calcio, infatti, ci facciamo sempre battere sul tempo dagli inglesi e spesso anche dai brasiliani».
In che senso?
«Le squadre inglesi, che vengono qui in tournée da tempo, hanno mandato loro “esploratori”, poi loro allenatori e ora hanno scuole calcio già ben avviate. Qui sono di casa i due Manchester e l’Arsenal. Mi chiedo perché non ci sono anche i nostri club? Penso all’Inter, al Milan e alla Juve che neppure qui hanno bisogno di presentazione, ma anche al Napoli, alla Roma, alla Fiorentina. Anche loro dovrebbero cominciare a guardare più in là, dovrebbero pensare ad ampliare gli orizzonti del loro calcio e delle loro aziende».
Beh, il Napoli ci sta pensando. Non è per questo che De Laurentiis l’ha chiamata?
«Sì. Lui è uno di quei presidenti che guardano avanti. Una fortuna per il Napoli. Abbiamo scambiato qualche idea. Mi ha chiesto notizie e gliel’ho date. Poi mi ha detto che gli piacerebbe portare il Napoli qui, a Natale, per qualche amichevole».
E lei?
«Ho messo in contatto De Laurentiis con le persone giuste. Persone serie. Sarebbe bello avere il Napoli qui».
Oltre ad essere bello, sarebbe anche un buon business?
«No. Negli Emirati si viene per farsi conoscere, per allacciare magari contatti che potrebbero tornare utili in futuro, per avere una dimensione sempre più internazionale, ma se si pensa di venire qui in tournée per soldi, beh, allora si commette un grande errore. Qui, ospitano, ma non sborsano un dollaro. Così è».
E allora, chi vuole fare affari con il calcio oggi dove deve andare?
«Il business oggi si può fare in Asia. Quella è la nuova terra. Non gli Stati Uniti, dove il mercato ormai è saturo e neppure l’Europa dell’Est. L’area asiatica, invece, ha fame di calcio. Chi vuole allargare il proprio marketing deve guardare in quella direzione. Io penserei molto al mercato cinese».
Le piacerebbe diventare l’ambasciatore del Napoli negli Emirati e non solo?
«Non mi tirerei indietro, questo è certo. Napoli è la mia città, il Napoli la mia squadra e il capitano di quella squadra è mio fratello. E poi, il mio nome e la mia faccia l’ho sempre messa a disposizione di Napoli. Io e Ciro Ferrara abbiamo creato anche una fondazione. Questo che vuol dire? Vuol dire che se Napoli o il Napoli dovessero aver bisogno di me, potrebbero contarci ad occhi chiusi».
Già, il Napoli. Dal mare di Dubai che Napoli si vede?
«Un bel Napoli. Mi piace. Mi intriga. Una crescita costante, la sua. Sta facendo davvero grandi cose».
Anche in campionato?
«Vabbè, ho capito. Il “problema” del Napoli, se vogliamo chiamarlo problema, è la Champions. So di che cosa parlo. Quella coppa porta via un mucchio di energie. Fisiche e mentali soprattutto. Chi non è abituato fa fatica. Perché? Perché se ti trovi sul prato dell’Allianz Arena o su quello del Camp Nou l’adrenalina ti sale naturalmente a mille; se invece devi giocare sul campo del Catania, e dico Catania perché lì il Napoli ha perduto, devi essere tu bravo a caricarti, a non pensare ad altro se non al campionato. Chi ha giocato lo sa: questo non vuol dire non impegnarsi o sottovalutare l’avversario. Nient’affatto. E’ normale. Naturale».
Ma se è un problema, come si risolve?
«Sarebbe bello dire: abituandosi in fretta allo stress della Champions e andando avanti bene in Italia e anche in Europa. Ma non è così. Basti pensare al Milan e all’Inter, abituati alla Champions eppure spesso ugualmente in difficoltà».
E allora, tra l’Europa e il campionato?
«La Champions è una fantastica avventura. Però? Però è il campionato, lo scudetto, l’obiettivo al quale può puntare già quest’anno il Napoli».
Tutto chiaro. Ma restiamo alla Champions: sarà al San Paolo per il match con il City?
«Spero proprio di sì. Sto lavorando per non mancare».
Sta lavorando?
«Sì. Il mio presidente, lo sceicco, è da sempre tifoso del Milan e il giorno dopo Napoli-Manchester City a San Siro c’è Milan-Barcellona. Gli ho prospettato di andare a San Siro, è logico, ma anche di arrivare in Italia un giorno prima. A Napoli ovviamente. Comunque, il Napoli gliel’ho già fatto vedere. Proprio a Milano contro l’Inter. E vinse il Napoli tre a zero».
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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