La FIGC ha deciso di accettare le modifiche del Comitato Tecnico-Scientifico riguardo il protocollo che seguirà la ripresa del campionato italiano. Un protocollo che, come spiegato dal Ministro dello Sport Spadafora, avrà nel medico un ruolo fondamentale. Una decisione che ha fatto discutere e a tal proposito, la redazione di IamNaples.it, ha voluto contattare Enrico Castellacci, ex medico della Nazionale italiana e attuale presidente de L.A.M.I.C.A., l’Associazione dei Medici nel mondo del calcio. Spiegazioni e perplessità sul protocollo da seguire e qualche domanda personale sono stati gli argomenti della chiacchierata.
La FIGC ha approvato il protocollo del Comitato Tecnico-Scientifico, quindi i medici avranno molta più responsabilità rispetto al passato.
“Questo è il paradosso che è nato: non è che hanno molta più responsabilità, ma hanno tutte le responsabilità e mi meraviglio che la Federcalcio possa aver accettato una cosa del genere, tra l’altro senza aver neanche sentito né i medici del calcio, né l’Associazione dei Medici del calcio. E’ paradossale, perché i medici non si sottraggono minimamente alle proprie responsabilità. Ma sono le responsabilità normali che ha un medico, che sono tante. Di ordine civile, penale, ma per fare il proprio lavoro. Per fare il medico. Il problema grosso è che non si può avere la responsabilità di tutto. La nostra proposta, cioè quella responsabile e condivisa del rischio, doveva essere ascoltata. E’ impensabile che in caso di mancanza di tamponi, la responsabilità ricada sul medico del calcio. Come anche se qualcuno andasse via dal ritiro e ritornerebbe sintomatico, il responsabile sarebbe il medico del calcio. E’ responsabile della sanificazione, di fare gli esami, i tamponi… Ma non di tutto il resto. Non è possibile una cosa del genere. Tra l’altro il rischio zero ancora non esiste e se non c’è, dunque, se dovesse succedere qualcosa il responsabile è il medico del calcio? Il quale è stato da sempre l’ultima ruota del carro nel mondo calcistico. Ora è diventato fondamentale. Il Ministro dice che il responsabile è il medico e la Federcalcio, senza sentire nessuno, acconsente. Allora i club non hanno responsabilità? Vorrei ricordare che il datore di lavoro è il club. Il giocatore è un professionista ed è un lavoratore e il Covid-19 è considerato un infortunio sul lavoro. Allora ci sono responsabilità civili e penali anche da parte delle società, che devono nominare anche un medico competente.
Viene accettata una regola assurda, il medico del calcio è responsabile solo di ciò che fa professionalmente. E l’ha sempre avuta, quindi non c’era bisogno che un Ministro o una Federazione ricordi le responsabilità che ha. Il rischio va condiviso. Devo dire che mi sono sentito anche con l’Ufficio Legale della L.A.M.I.C.A (la sua associazione, ndr), precisamente con i legali Porcaro e Palla, che mi hanno confermato che ci sono delle problematiche di tipo legislativo. Quindi sono rimasto molto male quando la Federazione impunemente ha accettato il protocollo del CTS. Avremmo preferito parlarne. Noi non siamo mai stati invitati al tavolo dove ci sono tutte le altre categorie del mondo del calcio: allenatori, preparatori atletici… tranne i medici del calcio, che tra l’altro è l’unica figura che non è contrattualizzata a livello federale. Questa è un’occasione per capire che la nostra categoria è parte integrante della famiglia calcistica e deve avere il rispetto e la dignità di tutti gli altri, Non vogliamo sederci al tavolo solo in questo momento vista l’emergenza coronavirus ma in ogni occasione, vorremmo avere il nostro ruolo come ce l’hanno le altre categorie. Vi sembra così anormale? Nemmeno in questo momento abbiamo avuto una chiamata o una risposta alla lettera che ho inviato al presidente. Niente, non esistiamo. Forse si confondono con la Federazione Medico Sportiva, che è una Federazione ufficiale del CONI ed è quella di cui fanno parte tutti i medici dello sport, anche quelli del calcio. Ma questa è l’Associazione dei Medici del Calcio e doveva avere una propria valenza. Mi dispiace e mi auguro che dopo ci si renda conto dell’errore per tornare indietro, perché il lavoro non è finito e noi siamo pronti a collaborare. Dovranno fare i protocolli e le linee guida che possano essere applicabili e seguite da tutti. In Serie B 2/3 dei medici mi hanno mandato delle e-mail dicendo che si dimetteranno se tutto ciò sarà accettato. Ci sarà un motivo. Vanno fatto linee guide precise, ma applicabili. Il lavoro è cominciato ora e bisogna fare dei protocolli specifici per ogni campionato. La Serie A ha il suo percorso, ma ci sono anche le altre categorie“.
Ha sentito anche i medici delle squadre di Serie A? Le hanno inviato qualche lettera?
“Ho sentito diversi medici, ma hanno società economicamente e logisticamente forti. Rispetto alla Serie B e alla Serie C c’è parecchia differenza, ma posso assicurare che molti medici mi hanno telefonato e non sono per niente soddisfatti di una situazione di questo genere. E’ comprensibile, è una responsabilità civile e penale. Non ce l’ha nessuno, solo il medico. E’ una situazione paradossale“.
Il modello tedesco sembra un po’ più affidabile.
“Se si seguisse il modello tedesco, probabilmente si riuscirebbe a fare un campionato. E’ un modello più “aperturista”: in caso di una positività, il membro del club viene isolato e gli altri vengono controllati e tamponati più volte, fino a capire la negativizzazione. Così c’è la possibilità di andare avanti. D’altro canto, se in Italia si andrà avanti com’è stato deciso, vanno in quarantena tutti quanti e a quel punto è finito il campionato“.
Riprendere e poi fermare di nuovo il campionato, dimostrerebbe un grande senso di inadeguatezza.
“Certamente. Quindi bisognerebbe farlo partire con dei protocolli chiari e applicabili, come in Germania. Ma questa è una cosa che è già stata esclusa: hanno detto che si deve fare così e dobbiamo accettare le decisioni del Governo. Ma una volta che si è deciso cosa fare ed è finito il ritiro di 15 giorni, iniziando le trasferte e con i giocatori che possono tornare a casa, ci auguriamo tutti che il virus perda forza, ma un caso ci può scappare. E in quel momento è finito il campionato“.
Giocare le partite al Sud potrebbe essere una buona idea?
“Non lo so, certamente al Sud ci sono meno casi. Chiaramente ci sono meno rischi, ma ci sono i discorsi da affrontare della trasferta, dei viaggi, degli alberghi. Sono tante le cose che vanno prese in considerazione“.
Al di là della sua carica, fermerebbe definitivamente il campionato?
“No, a me sarebbe piaciuto che il campionato iniziasse con le dovute cautele e le giuste precauzioni. Cercando di attuare dei protocolli estremamente chiari, in modo tale che nessuno restasse confuso, applicabili facilmente. Dopo di che sarei stato un po’ più aperto e avrei seguito un po’ più la linea tedesca, che è l’unica che dà un minimo di speranza per riprendere il campionato. Qui ci sono dei tasselli molto difficili da collocare“.
Le manca la Nazionale italiana di calcio?
“La Nazionale mi manca sempre, perché ci ho passato 15 anni della mia vita e il dispiacere maggiore è proprio quello: la Federazione è stata la mia famiglia per 15 anni e oggi ne sono fuori non come persona, ma come Presidente dei Medici del Calcio. E questo mi è dispiaciuto molto, però ho passato dei momenti meravigliosi, carichi di emozioni sia positive, sia negative. Ho avuto tante grandi delusioni, per non parlare della mancata qualificazione a Russia 2018. Però ho avuto tante soddisfazioni: i grandi Europei di Prandelli e Conte, il terzo posto alla Confederations Cup e il Mondiale del 2006 è la chicca che nessuno potrà mai levarmi. Io sono qui nel mio studio ora e ho davanti un grande quadro con Fabio Cannavaro che alza la Coppa e noi sotto. Lo guardo e mi vengono ancora i brividi, anche dopo tanti anni. Mi manca la Nazionale, ma la seguo con gioia, come un tifoso. Spero che questi ragazzi facciano bene. Mi dispiace che ci sia un po’ di attrito con quella che è stata la mia casa, ma non è un discorso personale. Questo lo capiranno tutti“.
Ha dei rimpianti?
“Direi di no. Io ho avuto una gran fortuna. Ho fatto due carriere professionali: una mi ha portato a fare il primario per 20 anni, sono arrivato all’apice nella carriera di chirurgo ortopedico e ho avuto le mie soddisfazioni. Tutt’oggi faccio ricerche e mi occupo di cellule staminali. Parallelamente ho avuto la fortuna di fare calcio e sarò un po’ civettuolo (ride, ndr), ma credo di essere l’unico medico del calcio che ha lavorato in Serie C, B, A, in Nazionale e ha vinto anche il Mondiale. Sono stato anche in Cina dove abbiamo conquistato vari campionati e anche la Champions League asiatica“.
Intervista a cura di Nico Bastone
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